tag:blogger.com,1999:blog-314152957923147392024-03-05T07:12:21.178+01:00Diario sparsoGiorgio Zigiotti - Raccolta dei miei brevi racconti e pensieri.Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.comBlogger72125tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-22472259885070521282017-08-09T10:13:00.000+02:002017-08-09T10:13:00.918+02:00Che fregatura<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0kBKzPvFYjXrBg0BsavX2UAGED5OFIVFKIczdV_zd29zhg7D0sb9ruoIWGG1kui5FaSMqMYMSJ8iyQLCS51pavKbZggUU7nGhV1CtGmVRYDmb7mF5DLi9dnZQEIsVm-zdZ3KI0fvdng/s1600-h/caratteri_sx.png" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5411500128521780418" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0kBKzPvFYjXrBg0BsavX2UAGED5OFIVFKIczdV_zd29zhg7D0sb9ruoIWGG1kui5FaSMqMYMSJ8iyQLCS51pavKbZggUU7nGhV1CtGmVRYDmb7mF5DLi9dnZQEIsVm-zdZ3KI0fvdng/s320/caratteri_sx.png" style="cursor: hand; cursor: pointer; float: left; height: 320px; margin: 0 10px 10px 0; width: 102px;" /></a><br />
Che fregatura è la poesia, la parola.<br />
Sussurra gioia non vissuta<br />
perché nella gioia vuol credere.<br />
Consiglia l’amore che non ha<br />
a chi ne ha.<br />
Canta la semplicità di un fiore<br />
strappato alla terra.<br />
Sorride al peggio <br />
per nascondere il suo lato scuro.<br />
Ruba il meglio degli altri<br />
per farne tele e colori.<br />
Lascia che il tempo le scorra accanto<br />
non curandosi di lui.<br />
Vive a fianco,<br />
di lato alla vita,<br />
Senza urlare mai,<br />
tendendo agguati ai cuori stanchi<br />
o distratti.Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-28612577728271151342017-08-09T09:57:00.000+02:002017-08-09T09:57:08.038+02:00Mida. Scuola di Karibuni onlus Italia<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyd8k3QBxjrQqcc-dNLX-BufMmVts7aIgWBObOdSY8qPjxSogiw_YexE5FmAZ3giPK2vQF326cecdYDJaxOpLrmCphRF_2cJgQYGEmkDzct7tLVInafKiln03syxMCCGfYe3jy4FG0uQ/s1600/scuola-karibuni-a-mida.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img alt="" border="0" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5508224134285696770" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiyd8k3QBxjrQqcc-dNLX-BufMmVts7aIgWBObOdSY8qPjxSogiw_YexE5FmAZ3giPK2vQF326cecdYDJaxOpLrmCphRF_2cJgQYGEmkDzct7tLVInafKiln03syxMCCGfYe3jy4FG0uQ/s320/scuola-karibuni-a-mida.jpg" style="cursor: hand; cursor: pointer; display: block; height: 241px; margin: 0px auto 10px; text-align: center; width: 320px;" /></a><br />
<br />
<br />
<br />
Anche ieri siamo stati a Mida, la località a una ventina di chilometri da Watamu, nell’entroterra, dove sorge una delle scuole costruite e gestite da Karibuni onlus. È stato l’ultimo giorno, il nostro lavoro è finito. Come sempre ci siamo andati prendendo i mezzi pubblici locali, i matatu, come li chiamano qui. I matatu sono dei piccoli pulmini da dieci/dodici posti, ma qui il numero dei sedili non conta; eravamo in ventisei, stipati come sardine, lanciati a razzo su una strada piena di buche, caprette, moto, biciclette, galline e bambini. Agli autisti dei matatu sembra stia molto a cuore arrivare per tempo, anche se non esistono orari di partenza e arrivo. Le caprette, i motociclisti, i ciclisti, le galline e i bambini lo sanno. Scartano un poco di lato al suono dei clacson. Tutto normale. Le fermate sono a chiamata: ogni sentiero che si perde nel verde può essere una fermata. La corsa costa trenta scellini per i locali, quaranta o cinquanta per i turisti sprovveduti, trenta se sei un turista, ma hai i soldi giusti, glieli dai e fai finta di non capire che il “bigliettaio” ne vorrebbe di più.<br />
Mida è un’altra Africa. I bambini ci hanno sempre accolto con una canzone, guardandoci curiosi dal basso, sgranando gli occhi e regalandoci certi sorrisi che scioglierebbero un ghiacciaio. Quando sono qui, sento di aver fatto la cosa giusta, Misurare, segare, piallare, scartavetrare e inchiodare assi e travetti non mi ha pesato. I bambini ci hanno aiutato. Nella falegnameria improvvisata in una delle loro aule, ci hanno sempre aiutato. A turno, uno o due di loro si sedeva sui legni che dovevo segare, per tenerli fermi. Qualcuno, imitandomi, soffiava via la segatura dal taglio affinché potessi vedere bene il segno fatto a matita. Altri s’incaricavano di portarmi le tavole già segnate. Altri ancora s’improvvisavano mobilieri fregandomi da sotto il naso gli attrezzi (un metro, una sega a mano, uno scalpello, una raspa, della carta vetrata e una matita). Le loro voci allegre coprivano il rumore della sega e del martello. Jona, tre anni, si è rotolato fra i nostri piedi per tutta la settimana; inutile chiedergli di spostarsi o spostarlo di peso. I nostri piedi erano per lui una calamita. Abbiamo imparato a scavalcarlo. Ogni tanto sparivano tutti, contemporaneamente, tranne Jona, naturalmente, e due o tre bambine, timidissime, che prima, nel caos della falegnameria, erano rimaste in disparte. Bastava fare loro un sorriso, un cenno, e si precipitavano a sostituire gli aiutanti maschi, rapiti da un pallone, comparso chissà come e da chissà da dove. <br />
Allestire un negozio e riparare l’altalena di legno, mangiata dalle tarme, era il nostro compito. Scaffali e tavolini, pitture e decori. Gli uomini del nostro gruppo, eravamo in quattro, si sono occupati degli scaffali e dell’altalena. Le ragazze, in tre, della pittura, delle scritte e dei decori.<br />
Pole pole, in Africa, vuol dire: piano piano. Tre giorni se ne sono andati solo per trovare il legname e farcelo portare. La segheria era distante una decina di chilometri, la fretta milioni di anni luce.<br />
Avete mai provato a decorare gli stipiti di una porta con venti testoline di bambini fra voi, il vostro pennello, e il muro? Come abbiano fatto le ragazze, è un mistero. Come io non abbia segato il naso a uno dei miei aiutanti, è un altro mistero. Con la segatura che producevo i bambini ci giocavano. Non aspettavano che si accumulasse, che io o altri si fosse finito di tagliare il pezzo. No, la segatura se la prendevano mentre cadeva, obbligandomi a fermarmi e a chiedergli, inutilmente, che stessero un po’ più lontani. Nove decimi della mia attenzione erano per loro, per la loro incolumità, il resto per il taglio. Lavoro faticosissimo ma bellissimo. Ricomincerei domani, con quel frugolo frignone di Jona fra i piedi e gli occhi enormi e ridenti degli altri. <br />
Non c’è la corrente elettrica, qui a Mida. L’unico orologio è il sole. L’unica energia è la fame, la fame di tutto, ma principalmente di futuro. I bambini che vengono qua a scuola ancora non lo sanno che hanno fame di futuro, ma i loro occhi sì, lo sanno. Lo capisci da come ti guardano, da come ti chiedono una caramella. Te la chiedono in tre lingue diverse: swahili, inglese e italiano. Hanno cinque, sei o sette anni e se la cavano con due lingue in più del sottoscritto. Mi è capitato di pensare che fossi io quello da aiutare.<br />
Il negozio servirà a sostenere parzialmente la scuola. Oltre a costruirlo abbiamo preso contatto con alcuni giovani artigiani del posto, quelli bravi, onesti e volonterosi, che forniranno gli scaffali.<br />
<br />
Le informazioni su Karibuni le trovate sul suo sito ufficiale e sulla sua pagina di Facebook.<br />
http://www.karibuni.org/<br />
http://www.facebook.com/group.php?gid=49954367946#!/group.php?gid=49954367946&v=wall<br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-62524232025073615012017-08-05T09:32:00.002+02:002017-08-10T08:46:38.226+02:00il numero tre<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://diariosparso.blogspot.it/">Home</a> - </div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk9KjDKNavBUCNg0tA5yT-DfWEZ7ABboB88hOBoeW-rG1SgBOHTxh1ZIcUDZ1h5ugxyR99X_Sek7WlCKJOItNVbXZd912udnWHKsCaswPlA2zXgCo65Pfgq0vIJ_hQI0uKx3zyGFrtbw/s1600/passero.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="535" data-original-width="800" height="214" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk9KjDKNavBUCNg0tA5yT-DfWEZ7ABboB88hOBoeW-rG1SgBOHTxh1ZIcUDZ1h5ugxyR99X_Sek7WlCKJOItNVbXZd912udnWHKsCaswPlA2zXgCo65Pfgq0vIJ_hQI0uKx3zyGFrtbw/s320/passero.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; font-size: 11px; line-height: normal; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; font-size: 11px; line-height: normal; min-height: 12px; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"></span><br /></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Da giorni vedeva un passero saltellare sul suo balcone. Subito non gli venne in mente che fosse sempre lo stesso passero, ma poi se ne convinse; aveva un modo tutto suo di saltellare, a gruppi di tre salti per volta, mai uno di più. Era buffo. Piccolo, sempre un po’ arruffato, per niente timido. Se lui si avvicinava quello non si scomponeva, nemmeno lo degnava di uno sguardo. Ripeteva con calma la sua serie di tre saltelli: zamp zamp zamp, e passava dal bordo del vaso della Haworthia a quello del Cleistocactus, sicuro di se, indifferente alle spine delle piante grasse, le uniche piante che un single distratto come lui potesse tenere su quel balcone semichiuso e assolato.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Aveva notato l’uccellino solo perché lì non ne aveva mai notati altri e mai aveva trovato traccia dei loro bisogni né sul cornicione né altrove sul terrazzo. Lo adottò. Non che ci fece amicizia con presentazioni formali e nemmeno gli diede un nome come avrebbe fatto con un gatto o un cane; semplicemente prese due sottovaso bassi, di quelli che non usava, li lavò per bene e nel primo ci mise dell’acqua e nel secondo le briciole di pane del pranzo o della cena. Così, facendolo ogni giorno, si ricordò di annaffiare anche le piante. Troppa acqua. Lo capii dopo qualche giorno. Le piante grasse non avevano la sete che lui immaginava dovessero avere. Allora si documentò. Grazie a Google cercò le sue piante, ne scopri il nome che prima non conosceva e si appuntò il loro fabbisogno d’acqua. Cercò anche l’uccellino. Wikipedia sentenziò: Passero domestico, spesso chiamato semplicemente passero o passerotto, ma anche passera europea o passera oltremontana, è probabilmente l'uccello più diffuso e noto in Europa, sia nelle città che nelle campagne.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Doveva essere una femmina, si disse. Imprevedibile, sicura di se, un po’ sfrontata, vanitosa, ma anche tenera con quel suo zampettare dispari.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Dopo un paio di settimane dall’adozione si accorse che il piumaggio della passerotta era meno arruffato. Ne dedusse che la sua dieta a base di carboidrati - le briciole di pane - produceva l’effetto desiderato. Però, memore delle parole del suo dottore che gli aveva ordinato un’alimentazione più ordinata, comprendente poca carne, tanta verdura, della frutta di stagione, molta acqua al posto del vino, variò la dieta del passero. Ancora una volta si documentò su internet, cercò e trovò un negozio che vendesse cibo per animali e acquistò una busta di semi vari: riso, grano e cereali vari che integrò con delle noci sminuzzate e pezzetti di mela o altra frutta di stagione. Era maggio e la prima frutta data in pasto all’affamato volatile furono un frutto ricco di vitamina A, C, PP, potassio, fosforo, calcio e acidi organici: le ciliegie.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Anche a lui piacevano le ciliegie, oltretutto ricche anche di antiossidanti, nemici dei radicali liberi, che, insieme ai suoi vizi e al ricordo dei suoi tre amori falliti, stavano inesorabilmente minando la sua salute. </span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Si ricordò poi di avere da qualche parte uno scacciamosche micidiale e ne fece buon uso facendo al contempo un po’ di ginnastica cacciando le mosche e così servendo al passero cene luculliane, ricche di proteine. Il passero o la passerotta, non lo seppe mai, godeva di ottima salute e la manifestava tutta in brevi e apparentemente disordinati voli nello spazio ristretto del terrazzo intervallati da delle serie ripetute, sempre dispari, tre a tre, di saltelli gioiosi.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">La sera, chiuso il polveroso ufficio da amministratore di condomini, tornava a casa contento, sicuro di trovare un amico, un’occupazione capace di cancellare la noia di quei conti che gli davano da mangiare, ma non più da vivere. Ancora pochi mesi e a fine anno, leggi ballerine e INPS permettendo, sarebbe andato in pensione.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Il passero stava bene, le piante pure, lui aveva perso tre chili e recuperato il fiato necessario a salire le scale senza doversi fermare un momento a metà, sul pianerottolo della signora Grisi e figlio: un ragazzetto magro da sembrare denutrito che, al contrario suo, saliva le scale saltando i gradini, tre per volta.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Pensandoci si accorse che il numero tre era una costante della sua vita: a tre anni era quasi morto di TBC, aveva demolito tre biciclette in altrettanti incidenti senza gravi conseguenze, tre le fidanzate che aveva perso e che gli avevano dato la speranza di una vita se non felice almeno normale, anche le sue automobili erano state tre: una cinquecento, una mini minor e per ultima una Toyota Corolla tre porte che ancora teneva duro.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">E tre mesi durò l’adozione. A fine agosto il passero sparì. L’aspetto una settimana, due, tre, poi si rassegnò. Solo in quel momento si rammaricò di non avergli dato un nome. Chiamarlo semplicemente passero ora gli pareva brutto, troppo impersonale, anche se si rendeva conto che il passero non era una persona ma un’animale selvatico che, essendo appunto selvatico, obbediva alla sua legge naturale. Legge che lui non poteva capire. Umanizzandone il ricordo lo battezzo Enea e lo immaginò capostipite di un popolo di passeri gentili, capaci di portare un momento, almeno un momento, di tenerezza, di vita.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Le sue piante stavano bene e anche lui stava bene. Solo il suo cuore risenti dell’abbandono e si ammalò di nostalgia. Decise che la nostalgia era un malessere dell’età, come i bei ricordi.</span></span></div>
<br />
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Helvetica Neue'; line-height: normal; text-align: justify;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Sarebbe stata una compagna fedele, la nostalgia. Non era il caso di farne un dramma. </span></span><br />
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="font-family: -webkit-standard; text-align: center;">Home</a></span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-29445912404114523782017-07-20T11:19:00.000+02:002017-08-09T09:18:32.825+02:00La terrazza sul porto dei pescatori<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://diariosparso.blogspot.it/"><span style="font-size: large;">Home</span></a></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAB3cqi5et7go7Ao2RUcVc4LBapbl-qjPi-YFOhlqIgpjbEeQlDLRlPjkTELJxgxgoEZCntcTD6CuLUOMCAdGiwqtu6rFRN34wkMOmWosrCWKWSP8mGdDz-avC-CNLdN4XxsZ1_Gg3HA/s1600/notte+uno.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="284" data-original-width="440" height="206" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgAB3cqi5et7go7Ao2RUcVc4LBapbl-qjPi-YFOhlqIgpjbEeQlDLRlPjkTELJxgxgoEZCntcTD6CuLUOMCAdGiwqtu6rFRN34wkMOmWosrCWKWSP8mGdDz-avC-CNLdN4XxsZ1_Gg3HA/s320/notte+uno.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="background-color: white; color: #1d2129; line-height: normal;">
<div style="font-family: helvetica;">
<br /></div>
<div style="line-height: normal;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">Il locale deserto </span><span style="font-family: helvetica;">è una via di mezzo fra una bar elegante e una trattoria di campagna. Strano posto. Da una parte, intorno a dei tavolini bassi e neri, moderni ed essenziali, dei divanetti rivestiti di tessuto bianco panna, incredibilmente immacolati. Forse sono nuovi. Sanno di nuovo. Sul lato opposto del locale due vecchi tavoli di legno grezzo. Uno piccolo, da due persone. L’altro da quattro. Le sedie, anch’esse di legno, ma verniciate ognuna di un vivace colore diverso, raccontano anni di servizio e il gusto un po’ eccentrico del loro padrone. </span></span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Grandi vetrate a tutta parete che si aprono a ventaglio fanno entrare l’aria, la luce e il paesaggio marino tutt’intorno. Nell’angolo destro della visuale s'intravvede il porticciolo dei pescatori locali: sono le nove di sera e i pescherecci ormeggiati rollano appena nell’acqua calma dello spazio ristretto dei moli. Lontano, quasi sull’orizzonte infuocato da un sole che tarda a cedere il passo alla notte, passa una nave. È troppo lontana per capire di che tipo di nave si tratti. Probabilmente è un mercantile. La brezza di terra sta abbassando la temperatura dell’aria che resta piacevolmente calda, anche se umida. Un cameriere attende i clienti fumando, appoggiato alla balaustra della terrazza che abbraccia il locale e tiene d’occhio l’ingresso che sta sul vicolo sottostante. È ancora presto per la cena. La giornata é stata caldissima. A parte il fumo della sigaretta del cameriere, la nave che passa lontano e il placido rollio del pescherecci, tutto sembra fermo, anche il tempo. Tutto fermo in attesa che succeda qualcosa che rimetta in moto il mondo.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Dopo la seconda sigaretta, il cameriere si desta. Ha visto una coppia di turisti sulla cinquantina entrare nel locale e spegne la sigaretta in un posacenere di terra cotta appoggiato sulla balaustra, poi lo prende, lo svuota in un in bidoncino che sta in terra, in un angolo, e lo pone sul davanzale della finestra aperta della cucina. La cuoca alza lo sguardo dalle sue pentole. Ha notato le mosse del cameriere e capito che a breve le arriverà un’ordinazione. Guarda l’orologio a parete che ha di fronte, le mani sui fianchi controlla che tutto sia in ordine, decide di assaggiare una salsa. Aggiunge qualcosa, forse del sale, forse una spezia. Il suo é stato un gesto veloce, preciso, un batter di ciglia. Difficile dire da che barattolo ha attinto il pizzico di quel qualcosa.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">La coppia sale le scale lentamente. Si sofferma a guardare i quadri appesi alle pareti. Non si può dire che li ammirino perché sono tutti delle croste colorate senza valore: scene di barche da pesca, spiagge assolate e deserte, tramonti. Una fotografia in bianco e nero, stampata in grande formato, protetta da un vetro sottile che nel tempo ha perso un angolo, ritrae il locale così com’era molti anni fa. Non c’erano le vetrate, allora. Tutto il locale era una terrazza assolata. Fra i tavoli coperti da tovaglie bianche si vede un omone sui cinquant’anni che porta dei grandi baffi spioventi. Accanto all’uomo, una bambina di pochi anni si tiene in piedi aggrappata al suo grembiule. È la cuoca che ora sta in cucina. </span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Ne è passato di tempo.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Della coppia non sappiamo niente, se non ciò che vediamo e gli sentiamo dire. Lui: un metro e ottanta circa, un poco appesantito, ha l’aria di essere sicuro di se. Una maglietta colorata, pantaloncini corti e sandali di plastica. Entrato in sala si guarda intorno e si dirige subito al tavolo da due. Lei: bella donna di qualche anno in meno di lui, magra, abbronzatissima, alta quasi quanto lui, vestita di bianco, scollatura profonda su un seno generoso, tacco dodici, si muove lentamente. Dalla borsa di stoffa color tortora spunta l’angolo di un foulard dello stesso colore. Il cameriere attende che anche la signora si sia seduta e poi li raggiunge. “Una birra media e una bottiglia d’acqua non gasata, intanto," ordina lui. Lei chiama lui Gian, lui chiama lei Ste. Sono i diminutivi dei nomi Giancarlo e Stefania. Diminutivi che parlano della loro intimità.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Dopo qualche minuto torna il cameriere con la birra, l’acqua e il menù. In quel momento entrano nel locale altre tre persone - una donna e due uomini - che prendono posto sui divanetti bianchi. Ste conosce la donna. Con un largo sorriso si alza da tavola e le va incontro per salutarla. È una sua collega di lavoro. Il caso ha voluto che fosse anche lei in ferie da quelle parti. Succede spesso che negli angoli remoti del pianeta s'incontri qualcuno che si conosce: l’inquilino del piano di sotto, il meccanico di fiducia, un cugino che non si vedeva da anni. A volte è piacevole, altre no. Per Gian non lo è. Non che sia un tipo scorbutico, poco socievole, anzi, è il contrario, ma è appena arrivato ed è stanco del viaggio. Semplicemente non ha voglia di parlare. Ste invece si attarda all’altro tavolo. Si siede accanto all’amica che le presenta i due uomini che l’accompagnano. Da come si rivolge ai due parrebbe che l’amica abbia una storia in piedi con uno dei due, qualcosa di ancora non ben definito, stabile. L’altro non si capisce. Forse è lo skipper della barca che hanno preso a noleggio sul posto. Parla poco. Entrando ha salutato con un cenno della mano il cameriere. Ha scelto lui il locale. È di casa.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian scorre il menù. Dopo un momento chiama Ste al tavolo, ma lei non viene. Con uno sguardo al limite del fastidio e un gesto con al mano gli fa capire che può ordinare anche per lei, tanto conosce bene i suoi gusti. Gian s’incazza, sbuffa, ma non dice niente e ordina: “Spaghetti alle vongole, per due”. Poi, prima che il cameriere si allontani troppo, alzando un poco la voce, aggiunge: “Ben al dente, gli spaghetti. Mi raccomando”. Il suo è un riflesso condizionato. È si incazzato con Ste che si attarda al tavolo vicino e non lo considera, ma la ama ed è lei che non sopporta la pasta scotta. </span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Il cameriere recita il suo “certamente” di rito, poco convincente, e sparisce in cucina.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian si guarda intorno annoiato. Entrando non aveva notato l’accozzaglia di lampade, tutte diverse, a suo gusto orrende, che illuminano, peraltro fiocamente, il locale. Gli viene voglia di andarsene da lì, ma ormai ha ordinato e Ste ha trovato l’amica. Convincerla a cambiare locale sarebbe una battaglia persa, e poi non ha nessuna voglia di litigare.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Non avendo nulla da fare fantastica sul modo d'incendiare il locale provocando un corto circuito demolendo le “bellissime” lampade a sediate. Non lo farebbe mai, lo sa bene, ma fantasticando così non fa male a nessuno. Sfoga solo un poco la sua rabbia, che non è una vera rabbia, solo un leggero malessere fastidioso. Non può distruggere il locale e nemmeno andarsene e allora cerca un dialogo, anche se condito di cattivi pensieri, con le pareti e l’arredamento che trova assurdo.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Le lampade non lo considerano. Nemmeno il cameriere lo considera più di tanto deponendo sul tavolo i due piatti di spaghetti che galleggiano in troppo olio. </span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian richiama Ste avvertendola che gli spaghetti sono arrivati, ma lei lo guarda come se lo vedesse per la prima volta: sguardo a metà fra la sorpresa e il fastidio. Non lo raggiunge, si volta verso l’amica e continua a parlare con lei. Questa volta Gian s’incazza sul serio. Non si alza da tavola per chiedere conto a Ste di quello sguardo senza senso. “Che si arrangi," pensa. </span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Comincia a mangiare da solo. Gli spaghetti sono scotti. Li mangia lo stesso perché ha fame e perché vuole pensare ad altro. Si rifiuta di accettare quell’assurda situazione, non la capisce. Nonostante sia sicuro di sé teme di compromettere qualcosa, non sa cosa, comportandosi istintivamente. Non accetta. Ferma il suo tempo. Una lampada si spegne. Sembra dirgli che é d’accordo con lui. Gian finisce anche la birra e poi si alza da tavola. Passa accanto a Ste senza dirle nulla e va ad appoggiarsi alla balaustra del terrazzo, proprio nello stesso posto occupato prima dal cameriere. Si accende una sigaretta, si guarda intorno, vede il posacenere sul davanzale della finestra della cucina e lo prende. Prima di tornare alla balaustra butta un occhio in cucina e vede una bambina, la stessa bambina della foto, che stando in piedi su una sedia sta girando un sugo, o qualcosa di simile, con mestolo di legno. “Ho visto male, sono stanco," pensa tornando sui suoi passi a fumare e a guardare il vicolo di sotto e il porto dei pescatori poco lontano, ormai quasi completamente al buio.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">La brezza di terra sta facendo bene il suo lavoro. L’aria è adesso più fresca. Una giovane ragazza che Gian non aveva notato prima all’interno del locale gli si avvicina e sorridendogli gli chiede in prestito l’accendino. Gian glielo da, la ragazza si accende la sigaretta, posa l’accendino sul parapetto e si allontana di qualche passo. Nemmeno un grazie, una parola qualsiasi. La ragazza si affaccia sul vicolo e attacca una discussione allegra con qualcuno che sta sotto. Gian non guarda giù, non gli interessa chi ci sia di sotto. Pensa solo che quel posto ha qualcosa di strano, di poco chiaro, d'inquietante.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Ste si é dimenticata di lui. Anzi no, no l’ha dimenticato, non l'ha mai conosciuto. È questo che Gian sente e non capisce. La ragazza di prima ha visto il suo accendino, non lui. Ste, la sua amica e i due uomini seduti sui divani bianchi non lo considerano, non lo vedono proprio. Il cameriere gli passa accanto, vede il posacenere sul parapetto, assume un’espressione stupita che potremmo tradurre in “L’avevo messo sul davanzale della cucina," lo prende da sotto il naso di Gian senza degnarlo di uno sguardo e lo riposta al suo posto.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian si sente stordito. Improvvisamente ha sonno. Chiude gli occhi un momento. Quando li riapre nel locale non c’è più nessuno, nemmeno la ragazza, il cameriere, la cuoca bambina. L’unica presenza è un suono. L’eco lontano della risacca sugli scogli. Non si capacita. Rientra nel locale e chiama Ste più volte. Nessuna risposta. L’unica lampada accesa è quella che prima si era spenta. Gian si precipita giù per le scale, una via d’uscita dal quel posto assurdo, ma si ferma sul pianerottolo dove prima c’era la foto in bianco e nero che ora no c’è più. Al suo posto c’é un quadro che ritrae un cane solitario che annusa qualcosa su una spiaggia deserta. Il cane alza la testa, lo guarda un momento e poi se ne va, esce di scena.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal; min-height: 17px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian si sveglia sudato, si gira verso Ste che dorme ancora. Ci mette qualche minuto a realizzare che ha fatto solo un brutto sogno. Poi le bacia la fronte, sorride sussurrandole “Stronza. Mi ha lasciato solo. E poi gli spaghetti erano scotti”.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Ste si sveglia, lo guarda aprendo appena un solo occhio e con una voce impastata di sonno gli dice: “È presto. E poi non vorrai fare colazione con gli spaghetti”. Richiude l’occhio e torna a dormire.</span></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">Gian ride. Si alza dal letto perché teme che riaddormentandosi il sogno continui e va in bagno dicendo piano: “Mi hai lasciato solo. Questa me la paghi”. </span></span></div>
<div style="font-family: helvetica;">
<br /></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(29, 33, 41); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;">E ride.</span></span><br />
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span>
<span style="font-kerning: none;"><span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="font-family: -webkit-standard; text-align: center;">Home</a></span></span></div>
<div style="font-family: helvetica;">
<span style="font-kerning: none;"><br /></span></div>
</div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-47762045494724693662017-06-07T11:01:00.000+02:002017-08-09T09:19:13.385+02:00Un vuoto gelido<div style="line-height: normal; text-align: center;">
<div style="font-family: 'times new roman';">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="font-family: -webkit-standard;">Home</a></span></div>
<div style="font-family: 'times new roman'; font-size: 18px;">
<span style="font-kerning: none;"><b><br /></b></span></div>
<div style="font-size: 18px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none;"><b>Un vuoto gelido.</b></span></div>
</div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3ssyb-n5tnPajRJqgyS5UoOqD7b0DLgDMoxzpgsDD4rQzEMV5lVsT6Xlk7CXsSDoyVfYqsV31WbAlSsqG2Xp_s2lpOlexNPdkhu83Jw3Wf1qBj-oJW8X8-K2NBSQITD5rQ2gLrzN1sw/s1600/ghiaccio.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="768" data-original-width="1366" height="179" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3ssyb-n5tnPajRJqgyS5UoOqD7b0DLgDMoxzpgsDD4rQzEMV5lVsT6Xlk7CXsSDoyVfYqsV31WbAlSsqG2Xp_s2lpOlexNPdkhu83Jw3Wf1qBj-oJW8X8-K2NBSQITD5rQ2gLrzN1sw/s320/ghiaccio.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Times New Roman'; font-size: 12px; line-height: normal; min-height: 15px; text-align: justify;">
<span style="font-kerning: none;"></span><br /></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: 'Times New Roman'; line-height: normal; min-height: 15px; text-align: justify;">
<span style="-webkit-font-kerning: none;"></span><br /></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Ho aperto gli occhi. La grande finestra alla mia destra non era la finestra di camera mia. Nemmeno il letto era il mio letto. Da fuori la porta della stanza, tutta bianca, nella quale mi trovavo, giungevano suoni e voci che non riconoscevo. Stavo sognando? Non ne ero sicuro. Avevo un mal di testa feroce e la bocca amara, impastata. Ho provato ad alzarmi per andare in bagno, la vescica avrebbe voluto che ce la portassi, in bagno. Le piastrelle del pavimento erano gelate. sono scivolato giù dal letto, finendo a pancia sotto, a pelle di leone, sul pavimento gelato. M’è parso che tutto quel freddo mi ricordasse qualcosa, qualcosa di buio. Poi, improvvisamente, una parte di pavimento, quella sotto la mia pancia e le mie gambe, s’è fatta tiepida. M’ero pisciato addosso. Stavo bene, nel tiepido. M’è tornato in mente il mare.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Cadendo dal letto m’ero trascinato dietro un trespolo di metallo. Attaccato al trespolo c’era una bottiglia, che cadendo non si era rotta. Dalla bottiglia partiva un tubicino che finiva sotto a un grosso cerotto appiccicato al mio braccio destro. Era una flebo. Ero in ospedale. Perché? Non ne avevo idea. A mala pena ricordavo chi fossi e di certo ricordavo solo la mia moto. Avevo avuto un incidente in moto? Per quanto stordito mi sentivo tutto intero, ma in quel momento non ho saputo darmi altre spiegazioni. I miei pensieri si inciampavano, scartavano di lato, nascondendosi nei frammenti di altri pensieri. Avevo l’alito cattivo, molto cattivo. Mi facevo schifo da solo da quanto puzzava il mio alito, ma il mio cervello non era in grado di analizzare quella puzza e formulare un’ipotesi, dirmi, in poche parole, che diavolo m’era successo.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Quattro braccia e due voci femminili mi hanno rimesso a letto. Non capivo se stessero parlando fra loro o parlassero a me e nemmeno le ho viste. I miei occhi si sono chiusi, le palpebre pesanti, come portoni massicci. Le quattro braccia mi hanno lavato, hanno cambiato le lenzuola sotto di me senza farmi alzare dal letto, e mi hanno lasciato, nudo, pulito, e solo con il tubicino attaccato al braccio. Mentalmente e molto lentamente ho cominciato a parlare a quel tubo. Mi sembrava l’unica cosa che mi stesse vicina, in quel momento. L’unica presenza, per quanto muta. Meglio muta. Non avrei capito niente di quel che, eventualmente, mi avrebbe detto.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;"> Mi sono presentato, al tubo intendo, e ho immaginato che il tubo mi rispondesse “ Ciao, mi chiamo Tubo”. Eravamo amici. Potevo confidarmi. Non so perché, ma ero certo che Tubo non mi avrebbe sputtanato raccontando in giro le cose che gli avrei raccontato. D’accordo, non stavo tanto bene. Me ne stavo sdraiato sul letto di un ospedale, non sapevo che ore fossero, che giorno fosse e da quanto tempo ero lì. Con qualcuno, qualcosa, dovevo parlare. Sentivo di dover dare delle spiegazioni, ma non avevo idea di cosa dovevo spiegare o forse, chiedere.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Ho fatto un bel respiro, uno di quelli lunghi e pieni, cercando di riordinare le idee, i ricordi. Non ne sono sicuro, ma credo d’essermi riaddormentato, per un po’. Quando ho cominciato a sentirmi meglio nessuno martellava più le mie tempie. Sentivo ancora il rumore dei colpi, come tuoni lontani, ma il dolore era sparito. Riuscivo ad articolare dei pensieri semplici, tipo: non ho niente di rotto, anche se mi sento a pezzi. I messaggi che il mio corpo mi sta mandando li ricordo, devo averli già ricevuti, in passato, un passato remoto. Devo aver fatto una cazzata grossa come una casa, un condominio, visto le conseguenze. Tubo, tacendo, confermava. Cos’ho fatto ieri o chissà quanti giorni fa? Facciamo ieri, mi sono detto, semplifichiamo sto casino che ho in testa. Cos’ho fatto ieri? Con chi ero, ieri? Qualcosa mi diceva che non avevo combinato il macello che avevo combinato tutto da solo. Chi c’era con me ieri? Ho fatto un altro respiro, sempre di quelli lunghi e pieni, ho disteso il braccio incerottato dando modo a Tubo di mettersi comodo: Guido. Guido, Renzo, Michele e Stefania. I colori del quadro impressionista che occupava la parete di fondo dei miei pensieri si sono fermati e riordinati. Un’immagine è comparsa. Coglione. Una cantina, un tavolone di legno massello, bello spesso, varie bottiglie di vino e di grappa vuote, delle croste di formaggio sparse sul tavolo e in terra, Due posacenere colmi di cicche, un enorme congelatore in un angolo, di quelli che si aprono dall’alto, e i miei amici, palesemente ubriachi, che continuavano a bere. Ci sono anch’io nel quadro, non mi vedo, ma ci sono. So che ci sono. Sono dentro al congelatore. Il congelatore è acceso.</span></div>
<div style="line-height: normal; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Come ci sono finito dentro al congelatore? Bella domanda. Cosa passa per la testa di un depresso, sbronzo marcio? Altra bella domanda. Stavo male ieri sera, o quando è stato. Ada, la mia amica Ada, da tre settimane, ha improvvisamente tagliato tutti i ponti fra noi. È sparita. Non ho idea del perché. Devo aver fatto, detto o scritto qualcosa che l’ha offesa. Stavo mentalmente riesaminando, per l’ennesima volta, ogni parola che le avevo detto o scritto nell’ultimo periodo quando ho incontrato Roberto. Erano quasi le sette di sera e me ne stavo andando a casa. Roberto non ha fatto caso al mio umore scuro, o forse ci ha fatto caso e per questo ha insistito perché andassi con lui, a casa di Guido. Conoscendo bene Roberto e Guido sapevo cosa mi aspettava. Non immaginavo di finire dentro a un congelatore, ma sapevo che avremmo bevuto. Il mio programma era: resto per un po’, mi limito, e li mollo prima di perdermi. Pensare ad altro o non pensare affatto era il mio obiettivo per la serata. La storia di Ada stava monopolizzando i miei pensieri. Non sapere, non capire, cosa fosse successo, cosa le avevo detto di tanto grave da far si che lei mi cancellasse dalla sua esistenza mi stava logorando. Avevo bisogno di una tregua. Una serata con gli amici a parlare di sport, donne, problemi elettrici di una barca a vela, motori e altre stupidaggini sui generis, faceva al caso mio. Forse Roberto aveva intuito qualcosa, nei giorni precedenti. Aveva capito che una donna stava frullandomi le cervella. Non sapeva niente di preciso, non conosce Ada, ma conosceva me. Mi conosce da anni, Roberto. Fra Ada e me c’è, c’era, mi tocca dire, una bella amicizia. Quando ci siamo conosciuti, Cupido dormiva. Ada è una bella donna con un fondoschiena da urlo, ma… Niente. Non mi sono mai sentito attratto sessualmente da lei, e credo che nemmeno lei abbia mai pensato a me come amante. La nostra è una bella amicizia, mi diceva. Difficile, alla nostra età, non siamo più dei ragazzini, trovare degli amici veri.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Doveva essere l’ora del pranzo o della cena, lì in ospedale. Un pestilenziale odore di minestrina ha provato a farmi vomitare. Non mi è mai piaciuta la minestrina. Non ne sopporto l’odore, ma il mio stomaco non aveva niente da regalare al pavimento. Era vuoto. Avevo fame. Anche l’unica volta che ho subito un’operazione, una cosetta da poco, quando mi sono risvegliato dall’anestesia avevo fame. Ho aperto gli occhi e a voce alta ho detto “ho fame”. Mia sorella era lì, mi ha sentito e mi ha guardato come si guarda un extraterrestre; lei è stata operata tre volte e tutte e tre le volte, dopo, non è riuscita a mangiare nulla per tre o quattro giorni. Ada non mangia quasi niente. Carotina, succo di limone, insalata (una foglia d’insalata) qualche chicco di riso. Robe così. Va in palestra, in biciletta, in piscina, brucia, brucia, brucia, non mangia e sta in piedi. Come faccia è un mistero. Io sono l’opposto. Lo sport non lo seguo manco in televisione e a tavola mi faccio del male.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Non credo d’aver parlato di Ada con Roberto, guido e Michele, ieri sera. Forse ho raccontato qualcosa a Stefania, nei giorni precedenti il mio congelamento, ora non ricordo. Stefania è la compagna di Roberto. Ci conosciamo da anni ed è la depositaria delle mie confidenze. Se le ho raccontato qualcosa sono certo che non abbia detto niente a nessuno. </span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Tubo, bottiglia e trespolo, ascoltavano i miei pensieri, in perfetto silenzio. Chi non faceva silenzio era il tipo, vicino a me. Non mi ero accorto di lui, prima. Ancora non riuscivo ad aprire gli occhi per guardarlo, lo sentivo soltanto. Russava. Era Roberto, avrei scoperto più tardi. Russava in un modo strano: ogni tanto interrompeva il ronfare, prendeva fiato e si fermava il mondo. Restava in apnea per un tempo preoccupante e poi, espirava lentamente e ricominciava a russare normalmente.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Io l’alcool lo reggo meno dei miei amici. Non ero più in me quando mi sono infilato nel congelatore. Roberto, Guido e Michele, in quel momento, stavano commentando un calendario. Non era un calendario di santi, madonne e ricette di cucina, ovvio. Non si sono accorti della mia calata nel gelo. Stefania non era ancora arrivata. Lavora in un bar e aveva il turno serale. Il buon Dio, o chi per lui, ha voluto che nessun cliente la trattenesse dietro al bancone. Ci sarei morto, dentro al congelatore, se lei fosse arrivata in ritardo.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">A un certo punto un’infermiera è arrivata. Ha trafficato intorno al mio letto per un momento e poi, chinandosi su di me, mi ha baciato in fronte e mi ha detto: “Ciao, stronzo. Ero di turno tre giorni fa, quando ti hanno portato qui. M’è preso un colpo vedendoti in quello stato. So tutto. Roberto e gli altri si sono spaventati da morire, quando gli è passata la sbornia. Roberto è due giorni che sta qui, sulla sdraio, e ti veglia. Quando ti sarai rimesso a dovere ti meno, così impari”. Poi se n’è andata.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">E così sono venuto a sapere tre cose: avevo dormito della grossa per tre giorni. Roberto non era ricoverato, come me, ma mi stava vegliando, anche se russava. L’infermiera mi conosceva bene. Chi fosse, però, in quel momento, non ero ancora in grado di ricordarlo.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Parte del mio cervello continuava a dormire. Il mio corpo no. S’era mosso qualcosa, per un attimo, quando l’infermiera, che poi ho scoperto essere Marta, mi aveva baciato. Strana storia anche quella con Marta. Una parentesi che si é aperta anni fa e che io non ho mai chiuso del tutto. Non mi riesce mai di chiudere le storie, di qualsiasi natura esse siano, qualcosa mi rimane fra le dita e finisce per incasinare le mie storie nuove.</span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Anche per questo non mi do pace con Ada, anche se eravamo solo amici. Sparendo così come ha fatto, ha cancellato ogni segno, ogni filo sottile che poteva riportarmi da lei o poteva riportare lei da me. È un vuoto gelido, quello che m’è rimasto dentro. </span></div>
<div style="line-height: normal; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Forse era questo vuoto gelido che volevo capire, calandomi nel grosso congelatore. </span></div>
<div style="line-height: normal; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;"> </span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="text-align: center;">Home</a></span>
</span><br />
<div style="line-height: normal; min-height: 15px; text-align: justify; text-indent: 27px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;"> </span></div>
<div>
<span style="font-kerning: none;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-15881553448830993812017-05-02T11:56:00.001+02:002017-08-09T09:19:44.790+02:00<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: "helvetica neue light" , , "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0_x5ooKQM9-4mxXhGEDd2xPW1A4_MKfBY-aOm_IfAjxsxDNFHiPMjkEPjootrPJarFWFCZBKQH-vlMUulQKUsHDJdeok4rsswpoRAQQIVfy78ch_7WDkJCiWDM6k_VSseq6mNsG3X-g/s1600/Camogli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="180" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0_x5ooKQM9-4mxXhGEDd2xPW1A4_MKfBY-aOm_IfAjxsxDNFHiPMjkEPjootrPJarFWFCZBKQH-vlMUulQKUsHDJdeok4rsswpoRAQQIVfy78ch_7WDkJCiWDM6k_VSseq6mNsG3X-g/s320/Camogli.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; font-size: 11px; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><br /></span></div>
<div style="-webkit-text-stroke-color: rgb(0, 0, 0); -webkit-text-stroke-width: initial; font-family: Helvetica; font-size: 11px; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none;"><br /></span></div>
<div style="line-height: normal;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-kerning: none; font-size: large;">Camogli</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">Seduto a un tavolino del dehors di un bar</span><span style="font-family: helvetica;">, a pochi metri dall’acqua del porticciolo di Camogli, dalle sue piccole barche da pesca, indifferente al brusio dei turisti come lui che occupavano gli altri tavoli o passavano senza fretta in quella giornata primaverile, Mario leggeva il suo libro in attesa di un amico. L’amico, non sarebbe arrivato prima di una mezzora e a Mario mancavano solo due pagine per finire il libro; le lesse lentamente: un po’ per gustarsi meglio quel finale e un po’ perché gli dispiaceva tornare alla sua realtà, spesso meno piacevole di quella scritta, ordinata, dove gli inciampi delle vite hanno un perché, una spiegazione, una soluzione, buona o cattiva, ma certa, fissata a caratteri di stampa e non più corruttibili dalle emozioni, dal tempo che passa, dagli eventi casuali, dalle coincidenze.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Come suo solito aveva posato gli occhiali da miope sul tavolo perché la leggera presbiopia dei suoi anni autunnali non gli consentiva più di tenerli sul naso per leggere. Il suo mondo era così diviso in un lontano mal corretto dalle lenti e un vicino altrettanto incerto, più o meno sfocato a secondo della distanza e della luce.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Il ghiaccio del suo spritz al Campari si era quasi tutto sciolto al sole delle undici e quaranta e degli stuzzichino che gli avevano portato non restava che un’oliva e qualche briciola di patatina e l’ultima frase del libro “ Ma se posso esprimere un pensiero mio personale di semplice donna mi limito a dire: che cosa te ne fai di una banca se hai perduto l’amore?” si perdeva fra il vociare che aveva intorno, ora ritratto in dettaglio dalle lenti tornate sul naso.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">La vita non scritta di Mario, che era nuovamente lì a comandargli i pensieri, gli appetiti, le illusioni e gli inconvenienti quotidiani, gli fece alzare la testa per guardarsi intorno. A volte, alzando gli occhi da un libro appena finito, gli capitava di scorgere un particolare, se non proprio un personaggio appena lasciato, che tratteneva la sua mente in una terra di mezzo fra finzione letteraria e realtà. Ben sapeva che quelle visioni erano un inganno della sua fantasia, un artificio inconsciamente voluto per alleviare il fastidio del cambio repentino di vita, quella fatta di parole e la sua, ma quella volta non successe. Fu uno strappo, un salto a ritroso nel ricordo di un amore incompiuto, ormai quasi dimenticato, lontanissimo, ma che si ostinava a non farsi cancellare del tutto.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Seduti al tavolino di fronte a lui stava un tipo grande e grosso, pancia prominente, occhiali da sole in bilico sulla testa quasi calva, semi sdraiato sulla sua seggiola e un’aria sicura di sé; guardava lontano, ma senza apparente interesse per qualcosa in particolare. Giocherellando con un pacchetto di sigarette posato sul tavolo, Attendeva che la sua compagna finisse una telefonata.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">La donna: bionda, sulla quarantina abbondante, camicetta bianca, gonna corta, belle gambe tornite e già un poco abbronzate, voce limpida e gioiosa, tormentava i suoi di occhiali da sole, ora aprendo e chiudendone le stanghette ora spostandoli qui e la sul tavolo ancora sgombro perché la loro ordinazione non era ancora arrivata.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Era quello lo strappo, quella voce, l’allegria di quella voce, la coincidenza. Anni prima un’altra donna, con un altra voce allegra e molta incoscienza, era entrata in porto, da sola, a bordo della piccola barca a vela di un amico, pur non sapendola portare, almeno a vela, e non sapendo che quello di Camogli non è un porto turistico e dunque sprovvisto di banchine. Grazie proprio alla sua voce e alla bellezza era stata aiutata da un pescatore ad ormeggiare e a sbarcare. Quella donna era stato l’amore di Mario che non si lasciava dimenticare.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Ricordo e presente si sovrapponevano litigiosi così com’erano litigiosi i pensieri di Mario: Le assomiglia, pensava. Lui invece non mi assomiglia per niente. Si domandava se ne fosse invidioso. Si, ammise che lo era, anche capendo la stupidità di quel pensiero e anzi maledicendosi per essere cascato ancora una volta in quella gabbia fatta di illusioni incorrotte dal tempo, dalla lontananza, dalle evidenze.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">E si stupì anche di se, di come la voce della donna sconosciuta e quel suo ricordo si erano intrecciati resuscitato per un attimo un sentimento sepolto da tempo sotto giorni nuovi e sereni.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Ne rise. Ogni tanto la incontrava ancora la donna delle sue illusioni, ma, ormai non più schiavo dell’innamoramento, non si sentiva più a disagio; era un’amica di vecchia data a cui voleva un gran bene, nulla più.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Tornato a guardare la donna bionda seduta al tavolo di fronte i ricordi svanirono in altre associazioni d’idee. Le donne sanno cosa sia il cinema, pensava: riescono sempre, e in modo del tutto naturale, a farsi baciare dalla luce, specie quella del sole: registe, attrici, scenografe, truccatrici, scrittrici, ti presentano sempre il loro lato migliore, quello che ti frega, ti fa sballare, sognare. È solo quando ti svegli, se ti svegli, che vedi i fondali di cartapesta, la ruga sotto al cerone, la ricrescita della tinta, la gonna che tira sotto la spinta di un chilo di troppo. Ma ormai è tardi: quel fondale è il tuo orizzonte, la ruga un sorriso, il chilo di troppo un complice delle notti. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Ricordandosi di aver già pagato lasciò il tavolo e si sforzo di guardare verso il mare mentre passava, obbligato dagli spazi, accanto all’altro tavolino, a quella voce che l’aveva riportato indietro nel tempo, e che per fortuna non udii più, e prese la salita del lungomare sicuro d’incontrare il suo amico che da quella direzione doveva arrivare.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">A metà strada si fermò e si sedette sul basso parapetto della strada lato mare, vicino ai tavoli di un ristorante, perché incuriosito da un anziano fisarmonicista che per qualche spicciolo suonava un vecchio valzer per i clienti. Suonava male, forse per via di quelle sue mani ossute senza più forza e agilità, ma non pareva accorgersi delle note strascicate del tempo incerto e guarda fisso un punto in alto come se lo spartito fosse stampato in cielo. Era lì, era assente, eterno in quello sguardo rivolto chissà dove, a chissà quali giorni migliori.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-kerning: none;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal;">
<span style="font-kerning: none; font-size: large;">Sarà questo il mio destino, con questo sguardo rivolto a un passato testardo che si consuma piano ma resiste come il suono stanco di questa fisarmonica? La stessa canzone che ha perso il titolo, il ritmo della vita?, pensò Marco cercando con gli occhi una libreria aperta, un altra vita di parole nella quali perdersi. </span><br />
<span style="font-kerning: none; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-kerning: none; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: "helvetica neue light" , , "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; text-align: center;"> </span></span></div>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="font-family: helvetica; line-height: normal; min-height: 13px;">
<span style="font-kerning: none;"></span><br /></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-8106179296734049482014-11-14T07:10:00.002+01:002017-08-09T09:19:52.432+02:00Dalle 21.00 alle 22.00<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: "helvetica neue light" , , "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie2a0VGhiyDNbNQKHsWxrXRUWae43v3WTjdZY-5Lj9CVJxIO9wmp5WZBYyuUOLykytgEv2CrhebPlqzXzuDBds5tJ7f_fIWRIh5t9tuLIVl4B0y4eTa3eOpTWCAxmH4VJOL7sxZ9dkTQ/s1600/carrello-supermercato-crisi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="235" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEie2a0VGhiyDNbNQKHsWxrXRUWae43v3WTjdZY-5Lj9CVJxIO9wmp5WZBYyuUOLykytgEv2CrhebPlqzXzuDBds5tJ7f_fIWRIh5t9tuLIVl4B0y4eTa3eOpTWCAxmH4VJOL7sxZ9dkTQ/s320/carrello-supermercato-crisi.jpg" width="320" /></a></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="letter-spacing: 0px;"> </span><b style="letter-spacing: 0px;">Dalle 21.00 alle 22.00</b></div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0px;"><b>Lui</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Tempo fa facevo la spesa, più o meno, una volta alla settimana. Adesso quasi tutti i giorni. Non che sia diventato ricco e mi possa permettere spese folli e nemmeno che sia diventato un gran mangione. Passo spesso al super di Via Canelli, quello che resta aperto fino alle 22.00, perché lì ci trovo quasi sempre una persona. Anzi, tre. Ovviamente è la prima, una donna, che m'interessa più delle altre. Le altre due persone sono uomini. Due tipi completamente diversi fra loro che, in comune, pare abbiano solo, come me d’altronde, l’abitudine di venire a fare la spesa del giorno all’ultimo momento, dalle 21.00 alle 22.00. Ora di chiusura del super. Ci s'incontra fra gli scaffali, carrello cigolante semivuoto, e ci si saluta. I primi tempi ci si scambiava solo un’occhiata distratta, ma poi, a forza di vederci, si è passati al sorriso e al saluto. Un buonasera gentile. Spesso solo “sera”. Ma è un “sera” complice che sa di appartenenza a qualcosa. Cosa? Penso che forse anche gli altri se lo siano chiesto, così come me lo sto chiedendo io ora. Ma non è importante. Sa di buono. A me basta.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ci spiamo. O almeno io li spio. Non loro, i loro movimenti, con chi parlano e cosa fanno. No. Spio i loro carrelli. Il dottor Lussini, ad esempio, vive solo, come me. L’ho capito da quello che acquista: due mele, un etto di cotto, un solo panino al latte. Cose così. Conosco il suo nome, come i nomi delle altre due persone, perché li ho sentiti dalla cassiera, la signora Matilda. Conoscere il suo è stato più facile. Ce l’ha scritto sul cartellino sempre pinzato sul grembiule d’ordinanza, quello rosso un po’ sbiadito dall’uso e dai lavaggi. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">L’altro uomo si chiama Gianpaolo. Per il momento, di lui so solo questo. Dev’essere un vecchio cliente se Matilda lo chiama per nome. È un tipo riservato</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> riservato e serio. Parla pochissimo e a voce bassa, al contrario di Lussini che ha un vocione da tenore e l’aria sempre allegra. Se ho ben capito, Lussini è notaio e ha lo studio nella parallela di Via Canelli. </span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ora che ci penso non so come si chiami quella via, non ci ho mai fatto caso. Incredibile: uno vive in una città da sempre e ricorda a mala pena il nome di quattro vie e due piazze. Non potrei fare il tassista. O forse sì, forse imparerei a districarmi fra traffico, nomi delle vie, smog e pedoni distratti. Forse no, non credo. Un giorno mi sono perso due volte nel giro di un’ora, girando in auto per Torino. E non ridete, non c’erano i navigatori satellitari, allora. E poi era notte e sono miope. E poi ancora non mi piace guidare. Non potrei fare il tassista. No. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Faccio il barista nel locale sotto casa mia e copro il turno serale, sempre quello, perché il mio collega nel pomeriggio è impegnato in un'associazione di volontariato e poi a lui non dà</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">fastidio alzarsi presto. Al contrario, io al mattino mi metto in moto con difficoltà, anche quando vado a letto presto. D’inverno, poi, non mi alzerei mai. Odio il freddo. Dunque l’orario dall’una alle nove di sera mi sta benissimo. Quando chiudo passo al super che è a due passi e lì, spesso, chiudo anche la mia giornata sociale. Poi, casa, cena, qualcosa alla TV, un libro e a letto. Non che la sera sia così stanco da non uscire, è che non mi va, non mi diverte più girare per locali, bere e cercare l’avventura di una notte. Ne ho collezionate anche troppe di avventure che invece di darti qualcosa ti svuotano di senso; e ancor più ho collezionato troppo alcool. Cenando, uno o due bicchieri di vino li bevo ancora e mi piace, ma non esagero più, se non qualche rara sera con gli amici di sempre.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">La donna si chiama Giulia. Trentacinque anni? Forse qualcuno di più, ma li porta benissimo. L’ho sempre vista da sola e</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> da ciò che acquista, mi sono fatto l’idea che viva anche da sola. Devo starci attento alle mie deduzioni. Più di una volta sono state completamente errate e mi sono trovato poi in situazioni imbarazzanti, soprattutto con le donne. Se a quarantadue anni giro ancora per un supermercato cercando confezioni da single</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> forse vuol dire qualcosa. Lasciamo perdere. Non sono qui per psicanalizzarmi.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Giulia non è mai entrata nel bar dove lavoro e non mi è mai capitato di vederla da nessun altra parte. La incontro solo al super. Ha sempre l’aria stanca, ma solo gli occhi la tradiscono. Tutto di lei trasmette efficienza, controllo, ed è sempre vestita in modo elegante. Non parlo di capi firmati e preziosi, parlo di colori ben accostati, vestiti semplici, quasi essenziali, ma che si fanno notare, che le stanno bene addosso. Mi piace per quello, per </span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">l</span><span style="letter-spacing: 0.0px;">’insieme ordinato e aereo allo stesso tempo, più che per la sua figura: quasi minuta, capelli corti di un castano ramato, fianchi appena generosi rispetto al resto del corpo, caviglie sottili su piedi da ballerina. L’immagine di una ballerina me la suggerisce ogni volta la sua camminata leggera. I suoi passi, anche quando porta i tacchi, producono un suono secco, leggero e breve, come di foglia morta che sia calpestata. Ha un passo autunnale, penso a volte. Ma forse lo</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">descrivo così solo perché siamo a fine ottobre, di foglie morte sono tappezzate le vie e io mi lascio suggestionare facilmente dalle cose che mi piacciono. </span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Belle donne se ne vedono tante e io certo le guardo, ma... È qualcosa che non so di lei, e che non capisco, a piacermi. A volte ho quasi paura che</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> scoprendo cosa sia quel qualcosa, io poi perda interesse in lei, per lei. Finirebbe il gioco e tornerei a fare la spesa solo di giovedì? E</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">sì, non ve l’ho ancora detto, di giovedì non l’ho mai incontrata. Di giovedì non mangia? Domanda idiota. Un motivo c’è, per forza, se non passa mai di giovedì. Ma quale? M’immagino di tutto, ma il risultato è che non lo so.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Sono sicuro che Matilda invece lo sa il perché. Lo sa, ma con me non si sbottona. Le vedo le occhiatine che si scambiano lei e Giulia quando capita che io sia lì, alla cassa, in fila, due passi dietro la ballerina autunnale. Matilda mi tiene d’occhio, lo sento. Giulia non lo so.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lei</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Anche ieri, come tutti i giovedì, da un anno a questa parte, ho cenato da mia madre. Questa volta le ho portato due melagrane. Sono sempre piaciute a tutte e due e a me poi ricordano papà e i giochi che inventava per me con quei chicchi rossi, quand’ero piccola. Ogni tanto mi piacerebbe ricordare quei momenti con mia madre, ma è presto. Papà è volato in cielo, come dice lei, da poco tempo e mia madre s'intristisce se parlo di lui, di noi. Finisce sempre che le racconto di me, solo di me, della mia vita da separata, del mio lavoro da estetista, del mio frigo semivuoto, del mio terrore d’ingrassare, delle scarpe nuove che compro su Zalando, delle chiacchiere che sento dalla Lisa, la mia parrucchiera. Lei ascolta, mi guarda sospettosa e ogni volta, dopo un</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">po’, mi fa la sua solita domanda: e un uomo?</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">“Quali uomini?” penso senza dirlo. Ma lo sento, lo so bene che mia madre vorrebbe vedermi serena, come lo ero un tempo, prima che... E così, di solito, per farla contenta m’invento qualcuno, un corteggiatore. Di solito. Succedeva prima. Ora quel qualcuno c’è e per me, sinceramente parlando, è un vantaggio. Non devo più ricordarmi nomi e situazioni di quelli inventati. Esiste sul serio, anche se non posso dire di conoscerlo veramente e in più nemmeno mi fa la corte; su questo devo ancora inventare, ma con lui, avendo in testa un volto, un portamento, qualche appiglio reale, è più facile immaginare</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">situazioni e battute.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Lo vedo spesso al super, la sera, quasi all’ora di chiusura. Matilda, la cassiera, mi ha raccontato un po’ di cose su di lui: nome, cognome, barista, single. Ha aggiunto delle altre cosette sul suo passato che però è meglio che non racconti a mia madre. Non è male come tipo. Diciamo che si tiene abbastanza in forma e di sicuro è uno a cui piace mangiare e bere bene. Sempre poche cose nel suo carrello, ma di qualità, specie i vini. Non gli ho mai visto acquistare piatti pronti surgelati. Al contrario: verdura di stagione, frutta, pesce e</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> raramente</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> della carne. Non mi sbilancerei a definirlo un salutista, anche perché gli ho</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">visto prendere delle sigarette alla cassa, delle Camel. Ma insomma, da quel che compra posso dedurre che in cucina se la cava. Non sarà uno chef</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> ma di malnutrizione non ci muore di certo. Anche di questa sua presunta dote di cuoco parlo poco con mia madre. I fornelli e io non siamo mai andati molto d’accordo e mia madre me lo ricorda sempre, lei che invece è una maga delle pentole. </span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Lui esiste, ma nella realtà non so come comportarmi, cosa rappresenti per me. Ci salutiamo appena e (lui) credo avverta le mie paure, le scambia per timidezza o peggio per disinteresse nei suoi confronti e non si ferma, non attacca bottone, come si dice. Se avessi il carattere di mia madre, l’avrei già fermato io, dandogli un ombrello in testa. È così che mia madre ha preso l’iniziativa con mio padre, assestandogli un’ombrellata in testa perché lui reagisse, le parlasse, finalmente. Per loro ha (poi) funzionato quell’espediente un po’ rude, ma io non potrei mai. Ho ereditato da mio padre quasi tutto, a parte il nasone, per fortuna. E poi non so se sono pronta per una storia con un uomo. Ormai sono passati cinque anni, dice mia madre, come fossero un’eternità. Invece non lo sono per niente, non per me. Quando capisco che mia madre comincia a spazientirsi per la mia storia con Michele - ah, si, si chiama Michele il mio qualcuno di ora - perché povera di dettagli e poco credibile, le parlo del notaio Lussini. Un simpaticone con un gran vocione che mai diresti che è un notaio. Non ha nulla della serietà professionale di un notaio. Ma è anche vero che il super non è il suo studio e li è una persona e basta, come tutti. E non è per nulla timido. Ha la sua bell'età e la pancia prominente, ma non si dà per vinto. Forse per lui è solo un gioco farmi i complimenti per una nuova giacca o la borsa, che poi è sempre la stessa da un pezzo. Chissà. È in ogni caso molto cortese ed educato. Un signore d’altri tempi apprezzato da mia madre che ogni volta mi ripete: “Vedi, se avesse la tua età...” Di Gianpaolo, l’altro uomo che incontro spesso al super, invece non parlo mai. È vedovo da qualche anno e la sua tristezza traspare, non solo dalla voce flebile e lo sguardo un po’ perso, tipico delle persone sensibili che si sentono vivi a metà, perché l’altra loro metà è mancata. Anche in mia madre leggo lo stesso sguardo smarrito. Per questo Gianpaolo non compare mai nelle nostre chiacchierate del giovedì.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">La scorsa settimana mi sono ritrovata a spiare Michele mentre lavorava. Dico che mi sono ritrovata perché non l’ho fatto apposta a trovarmi nel primo pomeriggio all’angolo di fronte al bar dove lavora. Dovevo assolutamente ritirare dei documenti dal Comune, mi ero presa due ore di permesso e tornando al lavoro sono passata da lì. Avevo altro per la testa che spiarlo, ma quando l’ho visto, là dietro la grande vetrata, che si muoveva sicuro e sorrideva a un cliente, mi sono fermata. Non solo fermata. Mi sono accostata al muro con la stupida paura che mi vedesse, come se dovessi sentirmi in colpa perché passavo di lì. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">È successo tutto in un attimo. Lui mi ha dato le spalle per prendere dal bancone qualcosa e io sono corsa via, forse un troppo in fretta. E dopo mi sembrava che tutti mi guardassero stranamente. E si che mi guardavano. L’ho capito quando arrivata al lavoro mi sono tolta la giacca blu e l’ho appesa. La manica sinistra era macchiata di bianco. Non mi ero solo accostata al muro, mi ci ero appoggiata e quel muro doveva essere stato ridipinto da poco. Questa cosa non l’ho raccontata a mia Madre, ne avrebbe riso e forse le avrebbe fatto anche bene, ma io mi ero sentita così stupida, così infantile. La giacca è tornata a posto. Io non tanto.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lui</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Anche ieri, nonostante fosse giovedì, sono passato al super. La sera prima avevo finito l’olio. Ero convinto di averne ancora una bottiglia nuova, da qualche parte, e invece no. Matilda mi ha guardato come fossi un marziano. Io le ho detto dell’olio e lei mi ha sorriso</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> squadrandomi da sopra i suoi occhiali da presbite e sussurrando un “E già, vedo” che sapeva di “Non me la conti giusta”. E poi mi ha sorpreso aggiungendo “Giulia non passa mai il giovedì. Va sempre a cena da sua madre”. Non sapevo che dire. Non capivo, e non (lo) capisco ancora, perché Matilda mi ha raccontato di Giulia, delle cene del giovedì con sua madre. Per un momento mi è parso di aver di fronte la mia di madre: occhi scuri indagatori che sapevano leggere anche la parte più nascosta dell’anima. Ma Matilda non è mia madre e l’attimo di smarrimento è passato subito. Le ho risposto, e non so perché, che non vedevo mia madre da un paio di mesi, anche se la sento spesso al telefono. Anzi e lei che sente me perché è lei che mi chiama quasi tutte le sere, sempre e solo sul fisso, e si preoccupa se capita che non mi trova perché sono uscito. Capita raramente, ma capita. Mai che mi chiami sul cellulare. Dice che non le piace, che ha paura di disturbare, che non ricorda dove ha scritto il numero. È mia madre, è anziana e io non discuto con lei, certo non per queste sciocchezze. Ho pagato, preso la mia bottiglia d’olio, ho salutato Matilda con un “Bè, ciao” - non le avevo mai dato del tu - e sono uscito.</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ho sentito gli occhi di Matilda piantati nella schiena, ma non mi sono voltato.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Mi aveva scoperto. Ero allo scoperto, tanto da sentire un brivido sul collo, una volta fuori. Era solo una folata d’aria fredda, lo sbalzo di temperatura fra l’ambiente riscaldato del super e la strada e il fatto che nella fretta non mi fossi chiuso il giaccone a farmela sentire, ma c’era anche dell’altro a disturbarmi, un’altra folata fredda che mi veniva da dentro, dai ricordi. Da un ricordo in particolare: la mia ultima, inconcludente, dolorosa e trascinata storia con Giorgia. La gente per strada andava di corsa, come sempre. Io andavo di corsa, come a voler fuggire da lì, dal super, da quella sensazione di vuoto allo stomaco, un misto di passato che volevo cancellare e di futuro che sembrava mi reclamasse. Perché Matilda mi aveva detto di Giulia? Che ne sapeva lei di me, di cosa pensavo e sentivo per Giulia e cosa sapeva di Giulia, di cosa pensava e sentiva per me? Giulia mi piaceva davvero o la mia era solo curiosità, il gioco da giocarsi dalle 21.00 alle 22.00?</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Un tempo, prima di Giorgia, non mi ponevo domande. Poi sbatti il naso su muri e porte e questo ti segna, ti cambia e lo sai. Vivi cercando di dimenticartene, di tornare quello di prima, sogni che un’altra ti faccia scordare tutto e quando poi sei lì, ad affrontare la curva che il destino ha tracciato per te e che non avevi previsto, freni, esiti e ti fai un sacco di domande. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">La sera sono uscito.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lei</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Matilda mi ha</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;"> </span><span style="letter-spacing: 0.0px;">detto che negli ultimi tre giorni Michele non è passato. Mi ha anche raccontato di avergli parlato delle mie cene del giovedì, da mia madre. Difficile dire cos’ho provato ascoltandola. Ero contenta o no che Michele sapesse di mia madre? Sollevata o delusa dal fatto che fosse sparito così? E poi era sparito dalla mia vita o solo dal mio immaginario? E poi ancora, era sparito davvero o, chissà, un problema lo teneva lontano?</span></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E perché poi mi ponevo tutte quelle domande, compresa questa?</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Forse è perché ero arrabbiata: un po’ con Matilda che non si era fatta i fatti suoi e un po’ con me stessa che, l’ho capito in quel momento, avevo lasciato che il caso governasse tutti quei momenti, quegli incontri sfuggenti fra Michele e me e mi sentivo incastrata nella volontà di quel caso invadente. Dovevo fare qualcosa. Dimenticare o lottare perché il caso si piegasse a me, affrontare Michele o sparire, come sembrava avesse fatto lui.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ho dimenticato di comprare sia le uova sia il dentifricio. Merda!</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lui</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Giuro che non l’ho fatto apposta. Ero in ritardo e stavo pensando a quant'è scemo il mio amico Gianni che per una cretinata ha litigato con la sua ragazza e adesso è all’ospedale con una gamba rotta. Ma si può andare in moto di questa stagione, con le strade viscide di pioggia e di foglie morte? Non l’ho vista. Correndo con il carrello, ho svoltato l’angolo dello scaffale della pasta e buum. L’ho centrata in pieno. A Giulia è caduta la bottiglia d’aceto che teneva in mano e che è andata in mille pezzi, allagando mezza corsia. Mentre Giulia mi guardava stupita e molto incazzata perché le avevo fatto male a una gamba, le ho chiesto scusa. Scusa era la prima parola diversa da buonasera o sera che le rivolgevo. Dopo mi sono offerto e ho insistito per pagare la bottiglia d’aceto rotta e poi, imbarazzato dall’incidente e non sapendo come scusarmi ancora, le ho chiesto se (se) la sentiva di camminare, di portare la spesa. Lei non mi ha risposto. Appoggiata allo scaffale, si massaggiava la coscia destra e non mi guardava. Oltre alla bottiglia, dalle sue mani o dal suo carrello, non lo so, era caduta in terra una confezione di salvaslip che ho raccolto commettendo un errore gravissimo: mi sono soffermato per un attimo a guardare la confezione. Un attimo, un batter di ciglia, una banale curiosità. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Questo per me. Non per lei. </span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lei</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Avevo deciso d’incontrarlo e, se fosse stato il caso, d'incoraggiarlo a parlarmi, sorridendogli un po’ più del mio solito, non di scontrarmi con lui. Ho sulla coscia destra un livido blu grande come una casa che si fa sentire a ogni passo. E poi ho fatto una cosa che non credo racconterò mai a mia madre. Non la racconterò mai a nessuno.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lui</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Non ci crederete. Mi è arrivata un’ombrellata in testa. Giulia mi ha colpito con il suo ombrello. Mi sono volati via gli occhiali. Nulla di grave. Non mi ha fatto male, non ha messo forza nel gesto, ma mi ha colpito. E non solo in senso fisico. Nell’attimo che ho chiuso gli occhi per via della botta, ho visto un paio dei miei fantasmi andarsene; uno mi ha persino sorriso.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lussini & Gianpaolo</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Che ti avevo detto?</span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Già. Quei due si ronzavano attorno da un pezzo, caro Gianpaolo</span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Però, che botta.</span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E tu credi sia un caso?</span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;">Non so. Io a quel caso</span><span style="color: #ff2d20; letter-spacing: 0.0px;">,</span><span style="letter-spacing: 0.0px;"> darei un altro nome.</span></span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Cinque lettere?</span></li>
</ul>
<ul>
<li style="font-family: helvetica; margin: 0px; text-align: justify;"><span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Cinque.</span></li>
</ul>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Lui</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br />
Quando ho riaperto gli occhi, Giulia si teneva le mani davanti alla bocca, tremava e mi guardava affranta, stupita del suo gesto, ma anche contenta di qualcosa. Nei suoi occhi c’era una luce che non avevo mai visto. Sparita quell’aria stanca, qualcosa luccicava.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Le ho solo detto: “Pace e aperitivo?” “Pace e caffè. Sono astemia” mi ha risposto.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Matilda</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Non sapevo mi piacesse tanto il forte odore dell’aceto.</span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><b>Noi</b></span></div>
<div style="font-family: helvetica; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="font-family: helvetica; text-align: justify;">
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0px;">(...)</span><br />
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span>
<span style="font-size: large; letter-spacing: 0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: "helvetica neue light" , , "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-41948614380401584562014-08-18T09:15:00.004+02:002017-08-09T09:20:41.419+02:00Maria, la gazza<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuQOFr4hqaEUb6xjSJoDsd-vyNbDl5J9ZLAc6Q6MZsn4Zg0ghQMP25Sqsf2BjGGHa-D23jxlOB1S3u_uabNM6Ss6USNAIDzWa_p1DVcxkmSc642uqtI3pq3W4owUPIj9ArfWr0xz_LaA/s1600/gazza2.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiuQOFr4hqaEUb6xjSJoDsd-vyNbDl5J9ZLAc6Q6MZsn4Zg0ghQMP25Sqsf2BjGGHa-D23jxlOB1S3u_uabNM6Ss6USNAIDzWa_p1DVcxkmSc642uqtI3pq3W4owUPIj9ArfWr0xz_LaA/s1600/gazza2.jpg" width="400" /></a></div>
<br />
<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">A qualsiasi ora passavamo la vedevamo, sempre uguale, sempre appoggiata alla ringhiera del suo terrazzo a guardar giù la strada sottostante. Sembrava un panno steso e dimenticato. Il vento non la scuoteva e la pioggia non la infastidiva perché il terrazzo, che stava sopra un voltino, era coperto da un tetto. Nessuno di noi, ragazzini di paese, ne aveva mai sentito la voce e nessuno sapeva nulla di lei, nemmeno il nome. Pensavamo avesse una sessantina d’anni, forse di più. Per noi decenni o dodicenni era vecchissima. La vista della stretta via sembrava tutto il suo mondo. Mai la si era incontrata per strada e qualcuno diceva che forse era un po’ matta e per quello non la facevano uscire. Chi non la facesse uscire era un altro mistero. Non c’era citofono né buche per le lettere accanto all’unico portone sottostante il voltino, e dunque nessun cognome sul quale puntare cercando d'indovinare come si chiamasse la signora. È anche vero che non c’eravamo preoccupati d'informarsi. Per noi era solo la curiosità del passeggio pomeridiano. Quando passavamo di lì, il più delle volte, alzavamo appena lo sguardo per cercarla. Lei era lì, noi ci scambiavamo un’occhiata d’intesa, era tutto normale, si proseguiva dimenticandola.<br /><br />La normalità finì un pomeriggio tardi alla vista del suo terrazzo vuoto e delle persiane chiuse. Una donna che avevamo già visto altre volte e che doveva abitare lì vicino, vedendoci fermi, a naso in sù sotto il terrazzo, e intuendo che ci domandassimo che fine avesse fatto la nostra normalità, ci disse che la signora era mancata già da un paio di giorni. Ci mancava quella presenza muta, lo capimmo il giorno dopo ripassando sotto il terrazzo e, quella volta, chiedendoci chi fosse stata, decidemmo d'indagare.<br /><br />Quel giorno, come sempre, eravamo in tre: Valeria, Gianni e io. Valeria disse che lo sguardo vuoto della signora le aveva sempre fatto un po’ paura, che era triste, che sembrava che scrutasse la fine della strada aspettandosi di scorgere qualcuno, forse una persona cara. Gianni propose di cercare le epigrafi per capire chi fosse, almeno come si chiamasse, anche se temeva servissero a poco; non avevamo elementi per individuare l’epigrafe giusta. Io pesai di chiedere in Comune o al parroco, sempre che qualcuno sapesse dove trovarlo, il parroco, senza doversi prima sorbire una messa. Decidemmo per il Comune perché ci lavorava, come usciere, un amico di mio padre e sarebbe stato più facile e meno imbarazzante per noi ragazzini chiedere notizie di una persona sconosciuta, senza sapere come e cosa chiedere.<br /><br />Ci andammo il mattino dopo, verso le undici, Valeria e io. Gianni no perché doveva dare una mano a suo padre a fare non ricordavamo cosa. Ci saremmo ritrovati nel pomeriggio sotto casa di Valeria, nella piazzetta, come sempre d’estate.<br /><br />Valeria aveva un anno più di me, più sveglia di me e anche molto carina. Quando poi, come quella mattina in Comune, indossava quel vestitino bianco e corto con la cintura rossa, dello stesso colore dei suoi capelli ricci, mi piaceva molto, ma come ho già detto era lei quella sveglia e io non avevo mai osato farmi avanti. Lei sapeva. A volte mi trattava da bambino scemo, altre da sorella maggiore, altre ancora non capivo che parte stesse recitando ed erano proprio quelle le volte che mi sentivo più scemo del solito.<br /><br />Arrivati in Comune Ci rivolgemmo al signor Guido, l’amico di mio padre, e gli spiegammo il nostro problema. Lui ci pensò su un momento e poi ci portò dal segretario, un tipo tutto grigio, grinzoso e distinto che avevo già visto al bar della piazzetta prendere il caffè. A me quel tipo non piaceva, m'incuteva paura, e Valeria, capendolo al volo, prese la parola e, senza dar tempo al segretario nemmeno di chiederci chi eravamo e cosa volevamo, gli raccontò di noi, del terrazzo e finì chiedendogli di dirci, per favore, come si chiamava la signora defunta. Il segretario ascoltò paziente Valeria, poi posò la penna che aveva in mano - Mano che era rimasta sospesa a mezz’aria per tutto il discorsetto di Valeria - si appoggiò con calma allo schienale della sua poltrona e chiese:<br /><br />“Perché volete saperlo?”<br /><br />Il perché non lo sapevamo. La nostra era solo curiosità, anche se qualcosa dentro ci faceva sentire in colpa per non esserci chiesti prima chi fosse quella signora e quel qualcosa ora, lì, davanti al segretario, e in fondo davanti all’intero paese, ci faceva un po’ vergognare. Ma eravamo lì, stavamo rimediando, forse anche chiedendo scusa alla signora defunta dei nostri ammiccamenti, delle parole stupide che ci eravamo sempre detti passando sotto il suo terrazzo, e dunque, anche se in difficoltà, non ci sentivamo fuori posto, né, tanto meno, degli impiccioni.<br /><br />Il segretario, capito il nostro silenzio, di colpo cambiò aspetto. Sorrise. Noi ci sentimmo sollevati. E poi, stupendoci, ci chiese se gradivamo un gelato, ma non lì, perché quello che poteva dirci sulla signora non era cosa da amministratore comunale. “Andiamo al bar”, disse alzandosi e facendoci cenno di seguirlo. Cosa che facemmo in sacro e timoroso silenzio.<br /><br />La frase “Non é cosa da amministratore comunale” c’impressionò. Valeria e io c’interrogammo guardandoci a vicenda per tutta la strada dal Comune al bar della piazzetta - più o meno per cento metri - ed eravamo anche preoccupati che qualcuno ci vedesse in compagnia del segretario, Forse pensando che chissà cos'avevamo combinato di tanto grave da scomodare le istituzioni. Non successe nulla, naturalmente, tranne che arrivati in piazzetta ci trovammo Gianni che si era sbrigato con suo padre. E così, presentato al segretario il terzo complice, ci accomodammo a uno dei tavolini esterni del bar. <br />Gelato, gelato, succo di frutta per Valeria, caffè per il segretario.<br /><br />Dopo il caffè, sorbito con tutta calma, ma solo la sua, il segretario parlò<br /><br />“Maria, la gazza. Con questo nome era conosciuta la signora Maria che di cognome, in realtà, faceva Lessolo. Di anni ne aveva settantadue. Perché invece tutto il paese, ma questo succedeva molti anni fa, la chiamava la gazza? Perché era una ladra, si diceva.<br />Niente prove, nemmeno la denuncia, solo voci e voci.<br /><br />Sapete come funzionano le storie di paese: una donna, giù in fondo al paese, ha bruciato il sugo, la voce e pure la puzza di bruciato girano e di voce di voce il sugo diventa casa, quartiere, l’intero paese. E poco importa se tutti vedono chiaramente che non v’è traccia d’incendio da nessuna parte, non é quello che conta. Contano le voci. Le voci diventano pietre e rimuovere le pietre non é divertente. E poi é faticoso. Restano lì, sulla strada della storia della comunità. Ci si abitua, le si scansa, ci si affezione pure. Diventano la verità e poi le verità si difendono in vari modi; si aggiunge qualcosa ai frangenti poco credibili, si nega qualcos’altro. Insomma, si aggiusta il tiro. Ma poi succede che con il tempo ci si dimentichi di qualche pietra. Ecco, questo é il motivo per il quale voi tre non sapete nulla di Maria la gazza. La sua pietra é stata dimenticata, ma non da tutti. Diciamo che non va più di moda e nessuno la racconta più.<br /><br />Maria era nata nel 1893, pare a Cuneo o dintorni, da una famiglia poverissima. I suoi si trasferirono qui in paese quando lei aveva diciassette anni, cioè nel 1910. Lo so, per voi é molto tempo fa. Lo é anche per me che di anni ne ho cinquanta, ma io la ricordo, l’ho conosciuta. Ero un ragazzino come voi, di più o meno dodici anni, quando la sua pietra, la sua storia, inizio a rotolare per il paese.<br /><br />Maria portava a casa qualche soldo lavorando in casa di una famiglia benestante. Quella famiglia esiste ancora, ma non vi dirò chi é. È una storia ormai dimenticata, i protagonisti di allora non ci sono più. E poi non é importante. Conta ciò che successe. <br /><br />Maria venne accusata di aver rubato gli orecchini d’oro della padrona di casa dove lavorava. Venne licenziata, tutto il paese ne parlò e lei si disperò. Non avrebbe più trovato un altro lavoro, lo capiva. Non aveva rubato niente, ma questo lo si scoprì solo dieci anni dopo, quando gli orecchini vennero ritrovati, pare incastrati in fondo a un cassetto. Ormai, però, Maria era per tutti Maria la gazza. Sapete cosa si dice delle gazze, che rubano gli oggetti d’oro? In realtà pare che siano attratte da tutti gli oggetti luccicanti, non importa di che metallo o valore.<br /><br />Dopo la storia del furto, Maria si chiuse in casa e non ne uscì più. Non si affacciava nemmeno sul terrazzo dove la vedevate voi fino a qualche giorno fa. La gente ha cominciato a pensare che fosse impazzita e questo sarebbe stato il meno. Se é impazzita é anche pericolosa, dicevano. E così, nonostante i suoi la difendessero e negassero che fosse pazza, Maria venne rinchiusa in manicomio. Ne usci quando gli orecchini vennero ritrovati, probabilmente aiutata anonimamente dalla stessa famiglia che prima l’aveva accusata. Credo venne anche indennizzata con una buona somma, sempre dalla quella famiglia, perché, mancati i suoi poco dopo la sua liberazione, non lavorò mai e dunque doveva avere una rendita se é riuscita a sopravvivere così a lungo.<br /><br />Voi mi avete raccontato che l’avevate sempre vista affacciata al suo terrazzo. Il più grande di voi ha dodici anni, giusto? Maria ha cominciato ad apparire sul terrazzo una quindicina d’anni fa, senza mai dire una parola a nessuno, tranne che a quella santa della sua vicina di casa, la giovane vedova Mazzocchi, che le faceva la spesa, curava lei e la sua casa. <br /><br />Nessuno sa cosa la portò sul terrazzo, nemmeno la vedova Mazzocchi. La conosco e ne abbiamo parlato più volte.<br /><br />Non era pazza, Maria. Era sola. Anche se era tornata nella sua casa e aveva tutto il paese intorno, era sola. Brutta bestia la solitudine.”<br /><br />Non era una bella storia quella raccontata dal segretario, almeno non era la storia che avremmo voluto ascoltare. Era una storia triste, come lo sguardo della signora Maria che Valeria aveva notato. Nessuno di noi tre fiatava, un poco imbarazzati. Io ripensai a quando, qualche anno prima, avevo rubato un piccolo giocattolo in un negozio. Non ero stato scoperto e non lo sapeva nessuno, nemmeno Gianni e tanto meno Valeria. Lo buttai via il giorno seguente per paura che mia madre mi chiedesse da dove arrivava.<br /><br />Ora con storia di Maria mi era tornata la gran paura di essere scoperto che avevo provato allora e la paura mi faceva immaginare un manicomio, o una prigione, anche se non sapevo come fossero fatti né l’uno né l’altro.<br /><br />Gianni aveva l’espressione incredula. Temeva, me lo confidò poi, che il segretario si fosse divertito e avesse inventato tutto. Scoprimmo poi, chiedendo ai nostri genitori, che la storia era vera, anche se differiva un poco da famiglia a famiglia. Valeria aveva le lacrime agli occhi, ma non pianse. Era commossa.<br /><br />Il segretario ordinò un secondo caffè e ci chiese se prendevamo ancora qualcosa. Non osammo approfittare dell’occasione perché ci tornarono in mente le parole di scherno, gli ammiccamenti e le risatine che avevamo fatto sotto il terrazzo della signora Maria e sentivamo di non meritarci un secondo gelato. <br /><br />Finito di bere il suo caffè, il segretario fece cenno a Renato, il barista; sarebbe passato poi a pagare e si alzò. Prima di salutarci ci disse ancora:<br /><br />“Ora la pietra di Maria é vostra. Sta a voi ricollocarla sulla strada o dimenticarla”.<br /><br />Io non l’ho dimenticata.</span><br />
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-77947420449035573862014-02-12T10:16:00.000+01:002017-08-09T09:21:04.450+02:0010 febbraio 2009 - 10 febbraio 2014<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: "helvetica neue light" , , "helvetica neue" , "helvetica" , "arial" , sans-serif;"> </span></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYgPDmI6UJKYLP0Mq_QNgiACSPrBcXYsAQpp8d-zmvLn6zMbIjlsQRbpRxuRtYMwxfx0NUP6fsq0mC89W7Wbhd3qVGzDOoximJPmVPpqrK2Y13tZdF7-7FEAY4sO0TTNgG7txJGbTM5A/s1600/Candeline-compleanno-06.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgYgPDmI6UJKYLP0Mq_QNgiACSPrBcXYsAQpp8d-zmvLn6zMbIjlsQRbpRxuRtYMwxfx0NUP6fsq0mC89W7Wbhd3qVGzDOoximJPmVPpqrK2Y13tZdF7-7FEAY4sO0TTNgG7txJGbTM5A/s1600/Candeline-compleanno-06.jpg" /></span></a></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">10 febbraio 2009</span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">
<span style="font-size: large;">Mi accorgo ora, con il colpevole ritardo di due giorni, che il mio blog "Diario sparso" compie cinque anni.</span></span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Il tempo passa in fretta e qualcosa cambia. Ad esempio, da blog sono spariti tutti i racconti che oggi compongono le mie due raccolte: "Birre, caffè e tracce di rossetto" e "Soffi al cuore". Ne risulta dunque menomato di molte pagine, trampolino di lancio per le avventure di carta, ma rimangono i vecchi post, un po' timidi, con qualche errore, che lascio comunque, e i racconti nuovi.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Un granello di sabbia nell'immensa spiaggia del Web che ogni tanto qualcuno scorge, isola, raccoglie, rigira, commenta, lascia, torna, dimentica.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Nella presentazione del blog scrivevo:</span></span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Scrivo di me cercandomi in ciò che mi succede intorno. Scrivo per capire, pronto a cambiare idea se è il caso, scrivo perché è difficile migliorarsi da soli, ma scrivo anche per divertirmi e rilassarmi. Scrivo perché è difficile farlo, o forse solo per assicurarmi, un giorno, una pensione meno noiosa.</span></span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;">Oggi alla pensione ci sono arrivato. Non so dire se sono o no migliorato, intendo come persona, Ma é certo che l'investimento blog uno dei suoi intenti l'ha raggiunto: non mi annoio.</span></span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><span style="font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-55062110885615409452014-02-09T09:11:00.004+01:002017-08-09T09:21:43.188+02:00Pulce<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUCtYCpHUPoFO7xQdTHqfxIayHgICdjzgJQXoQJI3av_oRcPXjoU6pI50zLEuIeMKGdd2zijfI_aNCBuqz2Il7qbQDbNIeMEMKrXW6f5Zfdfndg_PIQGAW_-Lld2JQDK70QlPEjhQ7jg/s1600/cagnetto.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUCtYCpHUPoFO7xQdTHqfxIayHgICdjzgJQXoQJI3av_oRcPXjoU6pI50zLEuIeMKGdd2zijfI_aNCBuqz2Il7qbQDbNIeMEMKrXW6f5Zfdfndg_PIQGAW_-Lld2JQDK70QlPEjhQ7jg/s1600/cagnetto.jpg" /></a></div>
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<span style="font-size: large;"><br /><br /><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;">Come tutte le mattine Riccardo si alzò presto, passò in bagno, si vestì in fretta e uscì. Senza caffè la giornata non sarebbe decollata. Duecento metri a piedi, nel gelo di quel mattino di gennaio, il solito bar, due chiacchiere con la barista simpatica, la prima sigaretta, un salto al tabacchino di fronte al bar e il ritorno a casa, al caldo. Solita routine da neo pensionato. Questo era il programma seguito passo passo da sei mesi, da quando la sua unica occupazione era gestire il tempo, tutto il tempo delle sue eterne giornate. L’orologio se l’era levato dal polso due settimane dopo essere andato in pensione. Era diventato lento, così gli sembrava. Lento e crudele, sempre lì a dirgli che aveva tempo, tutto il tempo che voleva, che c’era tempo per fare questo o quell’altro, e lui finiva per non fare niente, che tanto aveva tempo. Orologio o no, anche dopo mesi, ancora non sapeva come gestire le sue ore. Quando lavorava il tempo libero era tempo rubato e quel furto lo sfruttava a dovere: Brevi viaggi, letture, la spesa con sua moglie Lina, qualcosa che assomigliasse ad una attività sportiva, tipo lunghe passeggiate. Sportivo non lo era mai stato, se non da ragazzino. Ora, a causa del freddo e di una pigrizia che si faceva sempre più prepotente, non riusciva a godersi quasi niente, ma non se ne curava. Aspettava il caldo standosene rintanato in casa, come un vecchio orso scontroso e indebolito dal letargo.<br /><br />Solita routine che quella mattina si spezzò. Il bar era chiuso. Non chiudeva mai, nemmeno la domenica, che sarebbe stato il suo giorno di riposo, mai osservato.<br /><br />Riccardo non si era accorto subito che il bar era chiuso. Camminando veloce, per via del freddo, era arrivato sulla porta e solo lì, alzando lo sguardo, aveva capito. <br /><br />Il bar era più che chiuso. Le due vetrine erano oscurate dall’interno con dei fogli di giornale. Forse, pensò, all’interno stavano dando il bianco o qualcosa di simile. Non ricordava che Marisa, la barista, gli avesse detto qualcosa in proposito, ma sapeva di non poter contare sulla sua memoria e attenzione e dunque non si stupì più di tanto.<br /><br />Il freddo, che odiava, si faceva sentire ancor più, mentre era fermo a rimirare stupidamente il collage dei fogli di giornale. Si schiodò da lì prima di congelare senza aver ancora pensato a come risolvere il problema più urgente della sua esistenza, almeno a quell’ora: un caffè. C’era una caffettiera a casa, lo sapeva. Ma il caffè? Dove lo teneva sua moglie il caffè? Dovrei fare più attenzione a cosa succede in casa, si disse ad alta voce, notando che le sue parole diventavano nuvole di vapore che gli salivano su per il naso, fin quasi ad appannagli chi occhiali. Lo odiava proprio il freddo.<br /><br />Tornando verso casa si ricordò che c’era un altro bar, lì vicino, l’isolato dopo il suo. Non ci andava mai, non gli piaceva il barista sempre un po’ annoiato, dall’aria trasandata, forse non pulitissimo, ma al suo caffè del mattino non poteva rinunciare. Non poteva tornare a casa, svegliare Lina, che amava dormire ben più di lui, e chiederle di fargli il caffè. Lina l’avrebbe fatto, senza dubbio, ma il resto della giornata sarebbe stata di cattivo umore. Era meglio non svegliarla. Allungò il passo, anche per scaldarsi un poco.<br /><br />Fra il suo isolato e quello del bar dell’annoiato c’era un parcheggio. Le auto avevano tutte i vetri gelati, tranne una, parcheggiata quasi sulla strada, che probabilmente era stata lasciata da poco e conservava ancora il tepore del riscaldamento. Riccardo la notò proprio per quello, per quel senso di tepore del quale sentiva bisogno. Poi notò qualcos’altro. Da sotto l’auto spuntava qualcosa di nero che pareva mosso dal vento, come un pezzo di sacco nero, quelli della spazzatura, ma non c’era vento. Faceva un gran freddo, ma non c’era vento. E poi i sacchi neri della spazzatura non piangono, o meglio non guaiscono. Era un cane. Un cucciolo di cane, di chi sa quale razza, che tremava dal freddo e si era rintanato sotto quell’auto, sotto al motore, per scaldarsi. A Riccardo non erano mai piaciuti più di tanto i cani. Tirò dritto, dimenticandosi in fretta dell’animale. Non era affar suo.<br /><br />Arrivato al bar ordinò il suo amato caffè, restando in piedi, al bancone. Il barista non lo salutò nemmeno, tutto intento a grattare il biglietto di chissà quale lotteria. Il suo caffè era appena decente, troppo caldo, per niente cremoso e Riccardo ci mise un momento a berlo. In un angolo del bancone c’era un posacenere sporco. Aveva quasi finito di bere quando entrò un tizio. Il tizio fece un cenno con la testa al barista, prese un giornale da una mensola e si sedette a un tavolo. Il barista gli fece un caffè e glielo portò, sempre senza dire una parola. Un cliente abituale, pensò Riccardo. Sarà per via del freddo o qui sono tutti taciturni, penso ancora. Si sbagliava. Senza alzare la testa dal giornale il cliente abituale si mise a bestemmiare. <br />L’hai letta questa storia, che adesso un comune vuole il DNA di tutti i cani che così poi li multa se cagano per strada? <br />È giusto - rispose il barista che una voce l’aveva. - Anzi, dovrebbero eliminarli tutti quei brutti taxi per pulci. Tutti. <br />Già. Dimenticavo che tu li odi i cani. Che ti hanno fatto, poi? <br />Lo so io, lo so io. - rispose il barista, bestemmiando a sua volta. <br /><br />Il cliente abituale lasciò cadere la conversazione e il barista tornò al suo mutismo e a un’asciuga piatti liso che non sembrava fresco di bucato. Riccardo pagò il suo caffè e se ne andò schifato. <br /><br />Passi per il caffè cattivo, passi per lo sporco - non era certo il primo locale poco pulito che incontrava -, ma le bestemmie e le volgarità in genere, a Riccardo avevano sempre dato fastidio, anche se non era credente, né un puritano convinto.<br /><br />Tornando verso casa pensava a cosa poteva avergli fatto di male un cane al barista: un morso, un volo dalla bicicletta o cosa? Era capitato anche a lui di cadere dalla bicicletta perché un cane gli si era parato davanti all’improvviso. Era un ragazzino, allora. Le mani e un gomito sbucciati e il cane era scappato, spaventato più di lui. Forse era per via di quell’incidente che non aveva mai amato i cani, ma da lì a volerli eliminare tutti...<br /><br /><br />Ragionando di cani, Riccardo si ricordò che sulla via dietro casa sua c’era l’ambulatorio di un veterinario. Doveva essere bravo il tipo perché in strada c’era sempre un sacco di gente con il proprio cane. Qualcuno arrivava con una gabbietta per gatti o chissà cos’altro.<br /><br />Il cucciolo nero era ancora lì, tremante, sotto all’auto. Questa volta Riccardo si fermò. Infastidito dai commenti sentiti al bar si fermò e controllò se almeno il cane avesse un collare e dunque potesse essere di qualcuno. Se non avesse fatto qualcosa non sarebbe stato da meno del barista antipatico e di sentirsi associato a quel tipo non gli andava proprio.<br /><br />Niente collare. Il cucciolo sembrava dormisse, ma aveva un respiro strano, non da uno, animale o no, che dorme. Si chinò, prese su il cucciolo che, stordito dal freddo, nemmeno si accorse di essere stato raccolto da terra e si avviò verso lo studio del veterinario. L’avrebbe lasciato lì, pensava. Per il cane era meglio così. Il cucciolo, tolto dalla fonte di calore del motore dell’auto, si lamentò un poco e così Riccardo, anche se un po’ scocciato, si tolse la sciarpa dal collo e lo avvolse per benino. Cazzo se faceva freddo senza sciarpa. <br />Dai dai che fra cinque minuti starai meglio. Vedrai che il dottore - si chiamerà dottore? - ci pensa lui a te. <br /><br />Il cucciolo non commentò. <br />Ti sei perso o ti hanno perso, magari apposta? <br /><br />In risposta, un leggero guaito e una leccatina alla sciarpa.<br /><br />L’ambulatorio del veterinario era ancora chiuso. Erano solo le sette e trenta del mattino. L’orari era scritto su un cartello attaccato alla porta: dalle 09,00 alle 12,30 - dalle 14,30 alle 18,00.<br /><br />Non se ne parla di aspettare qui il veterinario, si disse Riccardo tornando a casa. Lina ci ammazza a tutti e due, ma poi, cioè prima, le spiego. Tranquillo. O tranquilla? Bho! Lo vedrà il veterinario, più tardi.<br /><br />Una volta a casa Riccardo posò il cucciolo sul tappeto della sala, ancora avvolto dalla sua sciarpa. Lì sarebbe stato al caldo, e pazienza se la sciarpa avrebbe puzzato un po’, quella si lava. <br />Lo si può lavare un cane? - si chiese, scacciando subito il pensiero perché tanto non avrebbe saputo come farlo e non era proprio il caso. Mica é mio, pensò. <br /><br />Lina si sarebbe svegliata da lì a poco. Riccardo si sedette sul divano della sala e si tolse le scarpe pesanti, per stare più comodo. Poi, aspettando Lina, si tirò addosso la copertina che da un po’ aveva preso l’abitudine di tenersi a portata di mano e si sdraiò. non accese la TV per non far rumore, e poi a quell’ora in onda non c’era niente di interessante. Si tolse gli occhiali, li posò sul tavolinetto lì accanto e si mise a leggere il libro di John Fante - Aspetta primavera, Bandini -. Quel libro glielo aveva consigliato un suo ex collega di lavoro, diversi mesi prima, ma l’aveva acquistato da poco, trovandolo per caso in edicola.<br /><br />“ Avanzava, scalciando la neve profonda. Era un uomo disgustato. Si chiamava Svevo Bandini e abitava in quella strada, tre isolati più avanti. Aveva freddo, e le scarpe sfondate. Quella mattina le aveva rattoppate con dei pezzi di cartone di una scatola di pasta. Pasta che non era stata pagata. Ci aveva pensato proprio mentre infilava il cartone nelle scarpe. Detestava la neve.”<br /><br />Così iniziava il libro. Quelle righe erano l’incipit, come usano dire le persone colte. Anche lui detestava la neve. Le sue scarpe però erano nuove, di buona fattura e non aveva mai avuto problemi economici, ma si sentiva accomunato al personaggio Svevo per via del freddo; c’é sempre in un libro qualcosa, un particolare, che in qualche modo parla di te, nel quale ti riconosci, ti specchi. Per Riccardo fu l’immagine della neve e del freddo. E mentre pensava a questo, il libro poggiato aperto sul petto, al caldo sotto la coperta, si appisolò.<br /><br />Lina lo trovò così, che ronfava debolmente con il capo chino, il libro scivolato di lato e un piede che spuntava dalla coperta. Il calzino era liso e Lina si appuntò mentalmente di farlo sparire e controllare meglio la biancheria di suo marito. Si ripromise di alzarsi prima, il giorno dopo, e di fare un salto al mercato di quartiere. Da Giovanni avrebbe certamente trovato delle buone calze, erano anni che si serviva da lui. E poi era un tipo onesto e gentile. Un po’ troppo gentile nei suoi riguardi, a sentire Riccardo. Ma tanto Riccardo non ci sarebbe venuto al mercato. Non capiva perché ci volessero tante chiacchiere per comprare un cesto d’insalata o una camicia e se poteva trovava una scusa per non accompagnarla. Ogni volta Lina gli borbottava qualcosa, senza insistere troppo. Aveva ancora braccia forti da sopportare il peso della spesa e senza Riccardo, poi, poteva metterci tutto il tempo che desiderava, fermandosi a curiosare e ascoltare le novità del vicinato. Sei una pettegola, le diceva Riccardo. Asociale, rispondeva lei ridendo.<br /><br />E mentre era lì che pensava alle calze vide la nera coda del cucciolo che tamburellava sul tappeto. Questa poi! disse a voce alta, decisamente sorpresa di vedere la bestiola e ancor più sorpresa nel capire che l’aveva portata a casa suo marito, per nulla amante dei cani.<br /><br />Il cucciolo, accortosi della nuova presenza e ripresosi dal freddo, si alzo sulle zampe ancora malferme, mosse verso di lei, piegò la testa più volte, ora a destra ora a sinistra, per osservarla meglio, e poi provò ad abbaiare. Gli venne fuori solo un lamento debole e stiracchiato. Non insisté oltre. La sciarpa era da buttare, così mezza masticata. quel batuffolo a quattro zampe che doveva avere una gran fame per ridursi a masticare la lana della sciarpa. Passata la sorpresa, Lina andò in cucina, prese del latte dal frigo, lo scaldò persino un poco, lo versò in un vecchio piatto, lo mise in terra e chiamò il cucciolo. Non sapendo come chiamarlo lo chiamò cucciolo e lui arrivò. Sicuramente aveva sentito l’odore del latte, non risposto alla chiamata, ma a questo Lina non pensò. Era arrivato subito. Era un cane educato. Era tanto carino con quegli occhioni grandi e neri. Il cucciolo bevve tutto il latte in un baleno. Lina ne scaldò ancora un poco e questa volta ci sbriciolò dentro alcuni biscotti secchi, ritrovandosi a parlare con il cane e a chiedergli da dove veniva, se aveva un padrone, se aveva ancora fame, e come era possibile che Riccardo l’avesse portato a casa. Il cucciolo rispose a modo suo: leccandosi i baffi si sedette sulle zampe posteriori e tornò a piegare la testa di qua e di la, guardandola dritta negli occhi.<br /><br />Mentre Lina si divertiva a scimmiottare il cucciolo piegando a sua volta la testa di qua e di la, Riccardo si sveglio. Avendo sentito dei rumori provenire dalla cucina e Dimentico di essersi portato a casa un cane raggiunse Lina. Quando fu sulla porta il cucciolo lo raggiunse e si mise ad annusargli i piedi scodinzolando. <br />ingrato d’un cane -, lo apostrofò Lina, - io ti sfamo e tu fai le feste a questa bestia di marito che mi ritrovo, che manco li ama i cani? <br /><br />E poi, rivolgendosi alla bestia che aveva sposato quarantacinque anni prima, gli chiese - Stai bene, hai battuto la testa? Cos’é questa novità?<br /><br />Aveva freddo -, rispose Riccardo. - Come me -, aggiunse un attimo dopo. <br />Si, ma adesso come facciamo? - <br />Dopo lo porto da veterinario. Ci penserà lui. - <br />Ma mica può tenerselo il veterinario. Lo visita, ti fa la ricetta per chissà quali medicine e te lo restituisce. <br />Bhe, allora lo porterò al canile -, tagliò corto Riccardo, un po’ scocciato per non aver pensato a cosa gli avrebbe detto il veterinario. <br />Poverino. Guarda che fa freddo anche al canile. Portalo dal veterinario e fatti dire se sta bene. Al canile, casomai, ci pensiamo dopo. <br />Apre alle nove.- <br />Chi, il canile? - <br />No, il dottore, il coso, lì, il veterinario. - <br />La tua sciarpa é da buttare. Il cucciolo se l’è masticata per bene.- <br />Boia, era nuova - <br />Si, sei anni fa. Te l’ha regalata tua figlia, che ancora doveva sposarsi. - <br />E allora dopo lo porto al canile. Così impara. - <br />Metto su il caffè, va. Così impara! Non é mica un bambino. Dovrei portarci te al canile, che ancora non hai imparato a non lasciare le scarpe in giro per casa. - <br />Si, si, vabbè. Torno a leggere sul divano. È ancora presto per il veterinario. <br /><br />Dopo un ora di coda il veterinario visitò il cucciolo. - Sta bene. È solo un po’ denutrito, ma sta bene. Più avanti dovrà fare i vaccini. Come si chiama?<br /><br />Riccardo non si aspettava quella domanda. Non avendo avuto voglia di spiegare al veterinario che il cucciolo l’aveva trovato solo qualche ora prima era impreparato. L’unica cosa che gli venne in mente fu l’appellativo stupido che il barista antipatico aveva dato ai cani: taxi per pulci. Non poteva chiamarlo così e allora decise lì per lì che il nome giusto era Pulce. Già gli aveva dato dei fastidi, come fosse una pulce, e poi era piccolo e piccolo sarebbe rimasto, almeno a detta del veterinario. - Pulce -, disse. Pulce.<br /><br />Non si rese conto subito di quanta importanza aveva aver dato un nome al cucciolo. Un cane é un cane qualsiasi se non lo conosci, se non é tuo, se non ne conosci il nome, ma adesso Pulce aveva un nome, ed era stato lui a darglielo. Pulce. Cambia tutto se dai il nome a qualcosa, qualcuno, a un cane. Quel nome é un pezzo di te che hai donato, un pezzo di te che ti é parente stretto, qualcosa che ti lega, ti frega, ti cambia, chiede che tu gli faccia spazio nella tua vita, una cuccia, una sciarpa da masticare.<br /><br />Una mezz’ora dopo Pulce finiva di masticarsi la sua sciarpa, in fondo a divano, fra i piedi di Riccardo. Lina canticchiava contenta dalla cucina; era un pezzo che che Riccardo non la sentiva canticchiare.</span></span><br />
<div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-12240117074084700862014-01-15T08:52:00.004+01:002017-08-09T09:22:36.539+02:00Il deserto dentro<div style="line-height: 20px;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjfQ8DfkptRY8Are815Lj6V75h9knGllPCydBrCO0z_ddaF-F_ac9bIqaikgvXrs8eFsaq7CcznIqdqY8WK6FEdxDbjQ0HF10Ve5_pMaPeX-zKxBckYLJ61_0svsVXH49E49ZpeGRucw/s1600/20131231_115002.jpg" imageanchor="1" style="background-color: white; color: #333333; font-family: 'helvetica neue', helvetica, arial, sans-serif; font-size: 14px; margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhjfQ8DfkptRY8Are815Lj6V75h9knGllPCydBrCO0z_ddaF-F_ac9bIqaikgvXrs8eFsaq7CcznIqdqY8WK6FEdxDbjQ0HF10Ve5_pMaPeX-zKxBckYLJ61_0svsVXH49E49ZpeGRucw/s320/20131231_115002.jpg" width="180" /></a></div>
<span style="font-size: large;"><br /></span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: 'Helvetica Neue', Arial, Helvetica, sans-serif;">Dammi cinque minuti, rispose Marco alla guida che lo chiamava, mentre lui osservava una delle sue orme impresse sulla sabbia rossa del deserto. In quell’orma ci vedeva gli ultimi passi della sua vita. Passi dai quali non aveva imparato quasi niente, se non a farsi male, come con l’ultima donna che aveva amato. L’indomani, o anche da lì a poche ore, quell’orma sarebbe stata cancellata dal vento. Il deserto non si sarebbe ricordato di lui e nemmeno lei l’avrebbe ricordato, ne era convinto. Si diceva di esserlo, ma era solo il suo modo di uscire di scena, cercando così di non ripercorrere i passi che l’avevano portato lì, lontano, che nemmeno importava dove fosse quel lontano.</span></span></div>
<span style="font-size: large;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
La guida insisteva. Nel deserto il tramonto arriva presto e con il tramonto la temperatura cala improvvisamente. Era meglio andare.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Marco alzò lo sguardo dalla sabbia. Le rocce intorno sembrava piangessero: il vento e la sabbia, erodendo e levigando la roccia, nel tempo, avevano scolpito gli anfratti dando loro le forme più strane e molte pareva stessero colando, come sciolte dal sole rovente, colavano come la cera di una candela accesa. Ma era gennaio, i primi di gennaio, e l’aria era fresca. Già fredda all’ombra.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Quel viaggio, Marco l’aveva fatto più per allontanare i suoi pensieri bui che per godere delle bellezze del luogo. Aveva scelto il deserto pensando che un posto dove non c’era niente che gli ricordasse casa sua potesse cancellare i ricordi, così come avrebbe fatto con le sue orme, ma si sbagliava. Quel nulla non era affatto un nulla, i colori che vedeva gli entravano dentro come bisturi affilati e gli sezionavano l’anima.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Le sue azioni, le parole dette e i pensieri più segreti si mettevano in fila, distesi e ben ordinati sulla linea dell’orizzonte, seguendo ora le dolci curve delle dune che gli ricordavano altre curve, ora le linee frastagliate e cariche di rughe profonde delle rocce, tanto simili alle fratture che il tempo aveva allargato nel suo rapporto con Sara. Incomprensioni, lontananze, testardaggine e orgoglio erano state la sabbia e il vento artefici di quelle fratture?</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Wadi Rum era il nome del deserto che stava attraversando e Wadi vuol dire valle, vallata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Capiva in quel momento che fra Sara e lui c’era sempre stata una valle a dividerli, una valle scavata dalle rispettive vite, tanto diverse e lontane. Fossero stati ragazzi avrebbero potuto scavalcare quella valle con un solo passo, magari incerto, incosciente e pazzo, pazzo quanto riesce ad esserlo la gioventù, ma ragazzi non lo erano più da tempo. Le loro vite contavano molti strati, come quelli geologici che leggeva chiaramente nelle rocce che aveva intorno. Molte delle loro scelte, giuste o sbagliate che fossero state, ora erano sabbia che rallenta il passo, che impone prudenza per non cadere.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sara non si era sentita preparata a quel cammino insieme, e lui, certamente, non era riuscito a darle garanzie. Si, perché quando non si é più giovani quel che conta sono le garanzie, qualcosa di stabile. L’avventura, i forse, i progetti ci sono ancora, ma soffrono della mancanza di slancio, di pazzia. Almeno, era così per lui, Sara l’aveva capito fin da subito e per questo la loro storia si era arenata.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Prima di decidersi a muoversi scrisse il suo nome sulla sabbia accanto ad una delle sue orme, affidando così al vento il compito di cancellare il suo recente passato. Uno stupido e inutile augurio, lo sapeva, ma lo fece lo stesso. Di stupidaggini ne aveva fatte parecchie, ultimamente, e chiudere quella storia con l’ennesima gli sembrava logico.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Sorrise di sé, di quell’atto fanciullesco, ricordando di quando, da bambino, si nascondeva sotto alle coperte, in quel mondo che era solo suo, lontano da tutti, che prendeva in prestito gli orizzonti più colorati e caldi della sua fantasia.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Anche quell’ultima storia era stata una fantasia, una fantasia da dipingere in due, una pennellata alla volta. Solo che a dipingere era rimasto da solo. </div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Lei aveva scelto un’altra tela, forse un altro uomo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Tornando al fuori strada che l’avrebbe portato via da lì, Marco pensava che comunque Sara gli sarebbe rimasta scolpita dentro, come i graffiti dell’era del bronzo che aveva visto poche ore prima su una roccia, quelli che raccontavano di un tempo ricco di acque, piante, animali, vita. Un tempo passato, che non sarebbe tornato, come non sarebbe tornato il suo.</div>
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
Niente sarebbe stato più come prima.</div>
</span></span><br />
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: 'Helvetica Neue', Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif;"><div style="text-align: justify;">
<a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></div>
</span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-26344485655168809862013-12-12T16:53:00.002+01:002017-08-09T09:23:34.411+02:00Condominio Lux, 24 dicembre<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: helvetica; font-size: 12px; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: helvetica; font-size: 12px; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: helvetica; font-size: 12px; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ_VwSPlEf0HYOr7ve63pTjTBkR7QypIQDJ5-0aYCN2jPCOdwBuhZBg5D2mGXRFZWyraiA22r67vrURLo3CI1BFGPVYuZ-g6XNgziK030LX7leen304o4oK7j49gJqT8P0axm8_vLViQ/s1600/alberi-di-natali.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJ_VwSPlEf0HYOr7ve63pTjTBkR7QypIQDJ5-0aYCN2jPCOdwBuhZBg5D2mGXRFZWyraiA22r67vrURLo3CI1BFGPVYuZ-g6XNgziK030LX7leen304o4oK7j49gJqT8P0axm8_vLViQ/s400/alberi-di-natali.jpg" width="391" /></a></div>
<div style="font-family: helvetica; font-size: 12px;">
</div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px; min-height: 14px;">
<span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">questa storia iniziò il giorno che portarono l’abete, un abete finto, di plastica, alto tre metri, e lo piazzarono nel cortile parcheggio del condominio Lux. Nome pretenzioso per uno stabile vecchiotto di periferia.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Nessun condomine si ricordava di aver dato il proprio assenso a quella plastica presenza, che oltretutto occupava uno dei parcheggi, quello del Perini, il vecchio orologiaio che non aveva né auto né moto, ma che difendeva quel suo spazio cementato quasi fosse la terra promessa. Come fosse riuscito Candela, l’amministratore, a convincere il Perini a concedere il parcheggio, anche se solo per pochi giorni, era un mistero. Sta di fatto che l’abete era lì, spoglio e impolverato, ma era lì.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Conoscendo i propri polli, cioè i suoi amministrati, il Candela aveva affisso nell’entrata del palazzo la delibera della riunione di condominio, svoltasi mesi prima, dove l’assemblea aveva deliberato l’acquisto dell’abete per celebrare il Natale, ora imminente. Agli addobbi, però, non ci aveva pensato.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Nessuno lesse il verbale, non succedeva mai, e dunque tutti caddero dalle nuvole e si indignarono di tanto spreco di denaro comune.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Con la crisi che c’è in giro si buttano i soldi in alberelli e festeggiamenti? Questi e altri commenti ben più coloriti andavano su e giù per la rampe di scale del palazzo. Scale che da anni aspettavano che qualcuno riempisse il largo spazio che avevano in pancia con un ascensore. Erano state progettate apposta così com’erano proprio per contenerne uno, ma niente. L’amministratore parlava di una spesa insostenibile, i condomini si lamentavano che i suoi servigi costavano troppo. Il proposito di regalare al palazzo un tocco di modernità moriva sempre sul nasce e le scale rimanevano scale e basta.</span></div>
</div>
<div style="min-height: 14px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Gli unici che accolsero l’abete come si conviene furono i bambini. L’avrebbero preferito vero, magari più alto così da giocarci sotto e raccogliere gli aghi che cadevano, ma pazienza. Quell’abete era l’unica cosa verde natura del quartiere, un vanto da parlarne a scuola e giù al grande parcheggio che stava di fronte al museo della resistenza, dove si ritrovavano al pomeriggio.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E mentre i condomini sparlavano incolpandosi l’un l’altro del misfatto verde, i bambini, e non solo quelli dal palazzo, si organizzarono per addobbare l’abete. </span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Non si é mai visto un abete spoglio a Natale, andavano dicendo. Con qualcosa bisogna abbellirlo, altrimenti che Natale é? Si, ma cosa? Nessuno aveva i soldi per comprare quelle belle palle colorate e tutto i resto. Figurarsi le lucine. </span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Le carte delle caramelle” disse Gianni, il più goloso di tutti. “Facciamo dei disegni e li appendiamo” disse Lorena che da grande avrebbe voluto dipingere. “E allora anche le poesie, bé, insomma, i pensierini” disse a sua volta Viola, la poetessa del gruppo.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ognuno propose qualcosa, tutti si dissero d’accordo, tutti tornarono a casa a preparare i loro addobbi.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Il giorno prima di Natale si ritrovarono sotto l’abete verde e si accorsero che senza una scala avrebbero potuto addobbare solo i rami più bassi. Si misero a discutere ad alta voce, come fanno tutti i bambini del mondo e attirarono l’attenzione dei grandi. Qualcuno si affacciò alla finestra, altri scesero a vedere per meglio capire cosa stesse succedendo.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ai piedi dell’abete c’erano tante scatole di cartone, quelle che le mamme prendono al supermercato per risparmiare sui sacchetti di plastica, pieni di foglietti, carte colorate, scontrini della spesa e altre cose indefinite e indefinibili.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">I bambini, pur vedendo l’aquila in in passero, una stella in un tappo a corona, il loro futuro oltre i cancelli della scuola, si sentivano un po’ scoraggiati.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Uno ad uno gli adulti riconobbero negli occhi dei figli i loro sogni. Si avvicinarono e si accucciarono per sentire meglio le loro voci, ora intimorite da tanta attenzione e dunque più fievoli, spezzate dalla delusione.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Renatone, l’inquilino del terzo piano, così chiamato per via della sua mole e il carattere pacioso, raccolti gli sguardi un po’ emozionati di tutti, convocò seduta stante una riunione di condominio straordinaria. All’ordine del giorno c’erano i seguenti punti: 1) portate una scala. 2) rovistate in fondo ai vostri armadi, che qualche vecchio addobbo lo trovate. 3)</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Siano fatte torte e biscotti. 4) Si chiami l’Enel e sia fatta la luce.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">L’ultimo punto lo inserì perché era un vecchio fan di Francesco Guccini e sentendosi un po’ un Dio, lì al centro del cortile e dell’attenzione, volle, per quanto gli era possibile, imitare l’onnipotente. </span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E ci riuscì. La scala arrivò, gli armadi furono rovistati, i forni delle case si misero al lavoro.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="letter-spacing: 0px;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Solo la luce, le lucine per l’albero, non si trovarono.</span></span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><div style="text-align: justify;">
<span style="letter-spacing: 0px;">Dopo qualche ora l’abete era in festa, le voci squillanti dei piccoli salivano al cielo, le torte e i biscotti scendevano le scale senza lamentarsi della mancanza dell’ascensore.</span></div>
</span></div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Si stava facendo sera e il buio avanzava veloce. L’abete e tutti i suoi colori scoloriva mimetizzandosi nel grigio scuro di sempre, quando comparve il Perini, il vecchio orologiaio.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Per un momento tutti si zittirono. Il Perini era sempre stato un uomo burbero e solitario, solito inveire su tutto e tutti, e dunque si temettero urla e bestemmie. </span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Invece.</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Avvicinando nel silenzio tombale all’abete, Perini mostro il grosso sacco che teneva con una mano e disse: “Ce le ho io le luci per l’albero. Sono quelle vecchie che un tempo usavo a Natale per addobbare l’insegna del mio negozio. Pensate vadano bene?”</span></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">La sorpresa fu grande, tanto che non riuscì a spezzare il silenzio, ma quando, dietro al Parini comparve Candela, l’amministratore, con in mano una lunga prolunga di corrente, scoppiò un applauso fragoroso e a qualcuno scappò pure una lacrimuccia di commozione.</span></div>
</div>
<div style="min-height: 14px;">
<div style="text-align: justify;">
<br /></div>
</div>
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Mezz’ora dopo Renatone finì di piazzare le luci sull’abete, che poverino, reggeva a mala pena il peso di tutti gli addobbi, e ordinò - non vedeva l’ora di farlo - “sia fatta la luce” e aggiunse” Perché Natale, porco qui e porco là, é Natale.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; font-family: 'Helvetica Neue Light', HelveticaNeue-Light, 'Helvetica Neue', Helvetica, Arial, sans-serif; text-align: center;"> </span></span></div>
</div>
<div>
<span style="letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-2883852656776761752013-08-06T18:21:00.004+02:002017-08-09T09:25:21.567+02:00I ladri di memorie<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJNzWg9-W_zVjXsraKNphrQsjrlyrHOFq5CJxXfebsNtdoEF25zSdXE3qyD0404TCE5p9_A0-MOwW6hlxmx3QMMmtF3IEKr-_wzmgMD85pYxqY-kQfIZsrXwBDZyqfMvkOgC1V9DGh8g/s1600/Vetri+rotti.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJNzWg9-W_zVjXsraKNphrQsjrlyrHOFq5CJxXfebsNtdoEF25zSdXE3qyD0404TCE5p9_A0-MOwW6hlxmx3QMMmtF3IEKr-_wzmgMD85pYxqY-kQfIZsrXwBDZyqfMvkOgC1V9DGh8g/s320/Vetri+rotti.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="font-family: 'Times New Roman'; font-size: 12px; text-align: justify;">
<br /></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">“Renato, Renato, Vieni subito. Questa notte sono passati i ladri e hanno rotto tutto”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Queste erano state le poche parole che sua madre gli aveva detto al telefono. Solo queste, e poi aveva riattaccato. Erano le sei di una già calda mattina d’agosto quando il telefono, quello fisso del corridoio, aveva squillato. Mai che sua madre lo chiamasse al cellulare. No, sempre solo al numero di casa o quello dell’ufficio. Per sua madre, ottantacinquenne, esistevano solo i telefoni fissi. Quando le avevano sostituito l’apparecchio vecchio e gliene avevano installato uno moderno, a pulsanti, ne aveva fatto una tragedia; “Non si capisce niente con questo coso, e poi è bianco e i bottoni sono piccoli e non si vedono e il filo è corto, che non arriva alla poltrona e mi tocca stare in piedi”. Per risolvere la questione, Renato aveva sostituito il cavo della cornetta con uno più lungo, avvicinando anche la poltrona al mobile basso sul quale stava il telefono, dovendo, però, cambiare di posto al Ficus Benjamino Golden King, orgoglio verde di sua madre. Quelli che per lui erano sono piccoli spostamenti si erano, invece, rivelati un cambiamento radicale e sconvolgente le abitudini sedimentate da anni e anni di sua madre. Ficus e poltrona erano tornati al loro posto, le aveva comprato un telefono nero il più possibile somigliante al vecchio e il cavo della cornetta era ora sufficientemente lungo da arrivare alla poltrona. Ai tasti, belli grandi, sua madre, si era dovuta adeguare e l’aveva fatto in fretta; infatti lo chiamava ogni giorno, sempre solo sul fisso, sempre all’alba, sempre a causa di immani catastrofi o urgentissime commissioni: una lampadina bruciata o una bolletta da pagare.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">I ladri erano una novità.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Per questo Renato si vestì in fretta, non passò nemmeno al bar per il solito caffè, salì in macchina e si precipitò a casa di sua madre. Sapeva che i ladri non avevano trovato niente di valore perché a casa di sua madre non c’era nulla che valesse la pena di essere rubato, ma sapeva anche che i ladri non potevano saperlo e se avevano spaccato tutto era proprio per quello, per vendetta. La voce normale di sua madre al telefono gli diceva che lei stava bene. Ma quanto bene? Non si era mai lamentata dei suoi dolori alla schiena o dei mal di testa e un giorno, non trovandolo subito al telefono, aveva preso l’autobus andando da sola all’ospedale. Cadendo si era fratturata il braccio sinistro. “Certo che fa male”, aveva risposto alla sua domanda ovvia, una volta che era stato rintracciato ed era arrivato in ospedale, ma gli aveva risposto disponendo da sola nell’armadietto di ferro della sua stanza gli effetti personali tolti dalla piccola valigia verde che lui aveva trovato, già belle fatta, sul fondo dell’armadio della sua camera da letto. “Meglio essere pronti. Se sto a spiegarti cosa mi serve e dove puoi trovarlo... sto fresca. E poi tu non sai piegare la roba, che sarebbe arrivata tutto un groviglio, che qui non c’è mica il ferro da stiro e tu sei sempre il solito disordinato e ci metti un sacco di tempo a rispondere al telefono”. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Era sua madre. Era sempre stata così e così sarebbe rimasta fino all’ultimo respiro.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Arrivato sotto casa di sua madre parcheggiò in seconda fila, fece le scale - tre piani - di corsa, trovò la porta dell’appartamento aperta e sua madre, in sala, con la scopa in mano. In una vecchia bacinella di plastica c’erano dei vetri rotti. Non erano i vetri di una delle finestre. Da qualche pezzo un po’ più grande degli altri riconobbe il vetro della credenza della sala; era leggermente ambrato e ancora si riconosceva il disegno inciso riproducente un pizzo che fungeva da tendina. Quel vetro era più vecchio di lui. Da piccolo si perdeva a contare i nodi disegnati di quel pizzo semitrasparente che nascondeva appena il servizio di piatti della festa, i bicchieri di cristallo, mai usati per timore che si rompessero, le tazzine da caffè di porcellana con il bordo dorato e l’argenteria. Il sangue gli andò alla testa. Quel vetro, quel mobile che per anni aveva dimenticato esistesse, pur vedendolo almeno una volta a settimana, non era solo un vetro, un mobile, ma parte della sua infanzia, della vita vissuta con sua madre. Qualsiasi cosa il ladri avessero portato via, nulla era più importante di quella memoria <i>infranta</i>.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Si sono portati via anche l’argenteria?” chiese, accorgendosi subito di aver messo coltelli e forchette al secondo posto di importanza. “Macché! Non hanno toccato niente, quelli stupidi incompetenti” gli rispose sua madre, che sembrava più scocciata dall’affronto subito dai ladri che non avevano capito quanto valesse la sua argenteria che dal fatto che erano entrati in casa sua per rubare.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Ma tu non ti sei accorta di niente? È successo di notte e dormivi?” </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Le pastiglie, lo sai. Le devo prendere per dormire, no? E poi, si, ho sentito il rumore di vetri rotti, ma credevo che fossero quelli che passano a raccoglierlo, con quel camion che lampeggia. Fa caldo e la finestra era aperta. Mi ero appena addormentata e non ci ho pensato più”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Era aperta anche la porta finestra in sala?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Che differenza fa? Il casino mica sceglie le finestre per entrare e svegliarti?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Voglio dire che se c’erano più finestre aperte ci sarà stata corrente d’aria. Sei sicura che siano passati veramente i ladri o non sia stata la corrente a far spalancare la porta finestra della sala che a sua volta ha colpito l’anta della credenza rompendo il vetro? Cosa manca, hai controllato?”</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Sorreggendosi alla scopa sua madre si perse un attimo guardando un punto indefinito del pavimento e poi, come risvegliata di botto, con un largo sorriso in volto, disse: “La fede è di la, nel porta cipria. Non manca niente”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“E tu mi hai fatto prendere un colpo per niente”. Poi, ripensando al vetro memoria, della sala, Renato disse ancora: “Mi dispiace per il vetro. Sarà quasi impossibile trovarne uno uguale o anche farlo rifare uguale. E comunque non sarà più lui, il nostro vetro”.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Sua madre apprezzo quelle ultime parole “il nostro vetro” e appoggiata la scopa al muro lo abbracciò e lo baciò in fronte, come faceva quando era piccolo.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">In quel momento, un clacson urlò tutta la sua disperazione. “La macchina in seconda fila! Scappo. È anche tardi. Cerco un vetraio, ma non ti prometto niente. Ciao”.</span></div>
<div style="min-height: 15px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="letter-spacing: 0.0px;"></span><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Le mamme non le puoi cambiare, e a volte nemmeno i vetri.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
<div>
<span style="letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-17517958218637883692013-08-06T09:46:00.005+02:002017-08-09T09:26:06.666+02:00Lontano<br />
<div style="font-family: Helvetica; font-size: 12px;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: helvetica; font-size: 12px; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: helvetica; font-size: 12px; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKHl6YxJajgM-QAWoaaBFIp1S9sEI9aXGO-wkTRa4iCD1FlojNgC3GEOC2Z-z-QQbp_z3GGRKkGnMmF1lFOD_kBzjX3PhdAdQegYPZzEICgc2gvui8Q39Ek5fs3ueg8i9EkqDAjsY5lA/s1600/lucca-.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="398" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKHl6YxJajgM-QAWoaaBFIp1S9sEI9aXGO-wkTRa4iCD1FlojNgC3GEOC2Z-z-QQbp_z3GGRKkGnMmF1lFOD_kBzjX3PhdAdQegYPZzEICgc2gvui8Q39Ek5fs3ueg8i9EkqDAjsY5lA/s400/lucca-.jpg" width="400" /></a></div>
<div style="font-family: helvetica; font-size: 12px;">
<span style="letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
</div>
<div style="text-align: justify;">
<br />
<span style="letter-spacing: 0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Non sempre svegliarsi presto è salutare. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Per me vuol dire fumare la prima sigaretta della giornata, cercare subito un bar aperto per un caffè e fumare ancora. Fumo troppo. E poi la città che dorme ancora mi innervosisce. La mancanza di gente per strada mi innervosisce e accentua il mio sentirmi solo. Palazzi chiusi, bidoni della spazzatura vuoti, panchine deserte, silenzio.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Cosa dovrei farmene delle cose che vedo? A volte me lo chiedo, ma evito di rispondermi. So per certo che guardandomi dentro troverei le risposte e so che no mi piacerebbero. Non mi piaccio comunque. Cosa cambierebbe? E allora scorro la rubrica del mio cellulare in cerca di un appiglio, un nome, qualcosa che mi dica che forse sono importante per qualcuno, almeno un po’. Su un centinaio di numeri posso contare solo su tre o quattro amici, gli altri sono conoscenti, uffici, tassisti, ristoranti.</span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span style="font-family: Georgia, Times New Roman, serif;"><br /></span>
</span><br />
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">A volte sento l’esigenza di chiamare un amico. È presto e non lo faccio. Immagino di farlo. Cerco una panchina, mi siedo, e parlo con lei. Quasi sempre e una lei, quasi sempre è lei.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Io parlo poco, tanto parla lei. Mi racconta cosa ha fatto ieri, dov’è andata, con chi. Ascolto. Mi piace la sua voce pulita, le sue risate e anche gli sbuffi che fa quando qualcosa non le va. </span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Poi passa un’auto, la prima. Una serranda viene alzata producendo un gran rumore di ferraglia, come fosse la vecchia sveglia di una città fatta appunto di rumori.</span></div>
<div style="text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">E cade la linea. </span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-19002585823193235782012-05-27T10:29:00.002+02:002017-08-09T09:26:47.234+02:00Fra una messa in piega e una birra<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy8QgzcyS0-K-EZwjYYsw8RjfemQoE52NZuT9WCJpr9UVaYUeDdRdvvjzm3Q7zghpBAmvN6osdj5wgnC3_FozNM9ktHbyIHngTPZb_P96VZ_jElDAodF7SiPHL9p5w_Pq7MPr5CqBegw/s1600/parrucchiere.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiy8QgzcyS0-K-EZwjYYsw8RjfemQoE52NZuT9WCJpr9UVaYUeDdRdvvjzm3Q7zghpBAmvN6osdj5wgnC3_FozNM9ktHbyIHngTPZb_P96VZ_jElDAodF7SiPHL9p5w_Pq7MPr5CqBegw/s320/parrucchiere.jpg" width="320" /></a></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<div style="font-family: helvetica; font-size: 12px;">
<span style="letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Dovrei imparare ad arrivare in ritardo. Le donne sono maestre in questo, chiederò loro consigli. Forse però non vorranno svelarmi i segreti di quest’arte, forse non esistono segreti, loro lo sanno, e se così fosse, mai me lo direbbero. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Fa parte del loro fascino, il ritardo? Penso di si, anche se a volte è un fascino che ci fa andare in bestia. Dovrei dedurne che alle donne piace l’uomo bestia? Che lo fanno apposta ad arrivare tardi per vederci lupi mannari sbavanti rabbia contenuta a stento da quel contenitore informe chiamato desiderio, amore per i più fortunati? </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Il fatto è che quando sei lì che la aspetti e ti manca, e lei lo sa che le manchi, finisci che la sogni ad occhi aperti, e la cambi: un po’ più alta, più bassa, più magra, più scollata, con la gonna che non mette mai, meno stanca del solito, meno presa da tutto ciò che non sei tu. E poi, mentre sei lì, al bar, che centellini una birra, seduto tranquillo (si fa per dire), arriva una donna, ma non è lei, arriva un’altra donna , e non è lei nemmeno questa, che si siedono al tavolino accanto. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">La prima donna arrivata la conosci. La saluti e ci si scambia due battute sul tempo, sull’ultima cosa che hai scritto, sul suo lavoro, sul fatto che è venerdì e che la settimana è finita. Domani è sabato e siccome cosa fare il sabato è sempre un argomento interessante di quello si discute. La seconda donna sa cosa farà: deve andare dal parrucchiere, ma non sa da quale. Le piacerebbe andare da Antonio (che è tanto bravo e gentile), ma riceve solo su appuntamento e a lei dispiace fissare un appuntamento e poi, dato che ha sempre molto da fare - marito, figli, nipoti, casa, giardino, associazione benefica, compere e quant’altro - finisce che deve telefonare per disdire l’appuntamento e, ripete, a lei dispiace. Andrà a farsi fare il taglio, il colore, la messa in piega e magari la manicure, da un altro o altra. Michela non è male, dice la prima donna. Non brava come Antonio, ma insomma. E poi costa meno, non si perde in chiacchiere, aspetti un po’, è vero, ma ti passa sempre. Ecco, si, certo, Michela, ma anche Simona, che però ci devo andare in macchina, che è lontana, e il parcheggio lì è sempre un’impresa, che però, va bè, è brava, ma la ragazza, non quella mora, l’altra, come si chiama non me lo ricordo, mi è antipatica, e poi, lì, è tutto un pettegolezzo, che a me non è che non mi freghi niente, ma le conosco poco e non so mai cosa dire.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E tu sei lì, che cerchi di far durare la birra e pensi al tuo barbiere che vedi quattro volte l’anno, che ogni volta lo trovi mezzo addormentato con la testa nel rosa del suo giornale preferito con la sigaretta in bocca dalla quale pendono, ma non cadono, tre centimetri di cenere, attaccati come sono alla sua immobilità e al ricordo di essere state foglie e carta.</span></div>
<ul>
<li style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">il solito taglio? corti?</span></li>
<li style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">corti.</span></li>
</ul>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">zac, zac, zac.</span></div>
<ul>
<li style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">ciao.</span></li>
<li style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">ciao.</span></li>
</ul>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">E ti arriva un messaggino che dice: non ce la faccio, domani.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br />
Avrei dovuto fare il parrucchiere per signora.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-11947793056084956392012-05-23T11:00:00.000+02:002017-08-09T09:27:45.271+02:00Ferita<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_PnxVifV4VmrNakV-EYJOmU0fCoFgCyAK6PuQxUxMNvM3NPI_THSZiAi7fYxG_EbhXPyENCWxMisoeDBeLrPJSIxD5k3xDwYoyWY8bkPrK7JjjqtLu2hkCC2ueCgj02tlu38SyIRWpg/s1600/Martin+D28.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" qba="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_PnxVifV4VmrNakV-EYJOmU0fCoFgCyAK6PuQxUxMNvM3NPI_THSZiAi7fYxG_EbhXPyENCWxMisoeDBeLrPJSIxD5k3xDwYoyWY8bkPrK7JjjqtLu2hkCC2ueCgj02tlu38SyIRWpg/s320/Martin+D28.jpg" width="320" /></a></div>
</div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<br />
<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ieri (martedì 22 maggio 2012) ero in centro per fare due passi e ho assistito a una scena che mi ha fatto riflettere e messo paura.</span></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Intorno alle 18,00, ora dell’aperitivo o del gelato, le vie pedonali brulicano di gente e se, come ieri, c’è il sole l’atmosfera è sempre festosa, e lo è ancor più se, come capita a volte, c’è qualcuno che suona. Ieri c’era un ragazzo: voce e chitarra acustica allietava i passanti con canzoni americane degli anni sessanta settanta; Dylan, Samuel & Garfunkel, Donovan, Cat Stevens e altri. Mi ero fermato altre volte ad ascoltare quel ragazzo; suona e canta molto bene e insieme a me si sono sempre fermate molte altre persone: anziani che approfittano delle panchine, coppie di giovanissimi che scoprono o riscoprono le musiche dei loro genitori, bambini meravigliati e distratti dal cantastorie che non guardano dove mettono i piedi e finiscono per scontrarsi con le gambe di un qualcuno, adulti frettolosi e presi dai loro pensieri che rallentano passando davanti a quello spazio imbevuto di bei suoni e pur non fermandosi cambiano espressione grazie al sorriso che gli compare sul viso, gente, come me, che si concede un gelato e un salto nella sua giovinezza da musicista dilettante.</span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ero lì, dicevo, che mi godevo quel momento di musica e socialità, quando due agenti della polizia locale si sono avvicinati al ragazzo fermandolo a metà di una canzone. Non ho potuto sentire le loro parole ma ho notato l’espressione dispiaciuta del ragazzo e quelle imbarazzate dei due agenti che evitavano di guardarsi intorno per non raccogliere gli sguardi di disapprovazione e preoccupazione dei presenti. Dopo qualche minuto gli agenti si sono spostati nel vicolo vicino e il ragazzo ha ripreso a suonare, abbassando di molto il volume. Dopo un paio di accordi s’è fermato e, con educata stizza, ha detto qualcosa al riguardo di chi aveva chiamato i vigili, lamentandosi del “rumore”.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Dopo pochi altri minuti gli agenti sono tornati e il ragazzo ha dovuto smettere ed andarsene.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Io mi sono sentito ferito da tanta intolleranza e insensibilità. Non ce l’ho con gli agenti, che hanno dovuto applicare una legge che difende il fastidio di uno a discapito dei sorrisi di molti, non è colpa loro se il clima, che fino a un momento prima era di allegra e spensierata festa condivisa, si è trasformato in lutto e sgomento. Lo so, ci sono cose ben più importanti di un cantastorie interrotto, cose più urgenti di una storica libreria del centro che chiude i battenti perché strozzata dalla mancanza di cultura, ci sono azioni economicamente più interessanti che non ascoltare della musica dal vivo in un locale, c’è gente che non vede di buon occhio ciò che non gli rende, tipo la cultura e l’allegria.</span></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="border-bottom: medium none; border-left: medium none; border-right: medium none; border-top: medium none;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Mi sono vergognato della mia città, della rassegnazione dei più alla barbara decadenza della bellezza di un momento di socialità, trasformato in disturbo della quiete pubblica.</span></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Mi sono avvicinato al ragazzo che metteva via le sue cose e gli ho chiesto scusa, per me, per l’ignoranza del denunciante, per la mia città ferita.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<br />Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-13083051144847241942012-04-22T08:10:00.001+02:002017-08-09T09:28:27.638+02:00Un risveglio in più<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYKs_DWEc2gyH1wgrrPalXYOb0bRDjU4Cj6RNoNm8tQ37FirS5oY6hFVGKzSv40UdV8IC3ek74DbJPvdUq_8KOBtBnKY21SmBCPPvSh_2zha11sb_RUN45mX696Z1V3QfmzXCBkKfqkA/s1600/sveglia(1).jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjYKs_DWEc2gyH1wgrrPalXYOb0bRDjU4Cj6RNoNm8tQ37FirS5oY6hFVGKzSv40UdV8IC3ek74DbJPvdUq_8KOBtBnKY21SmBCPPvSh_2zha11sb_RUN45mX696Z1V3QfmzXCBkKfqkA/s320/sveglia(1).jpg" width="264" /></a></div>
<div style="color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; line-height: 1.5em; margin-bottom: 0px; margin-left: 0px; margin-right: 0px; margin-top: 0px;">
<br /></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Come tutte le mattine la sua sveglia suonò alle sette precise. Allungò il braccio, diede una bottarella alla sveglia e la fece tacere. Non si alzò subito, non lo faceva mai. Aspettò per dieci minuti il secondo trillo e solo allora, come sempre, aprì gli occhi, spense la sveglia, inforco gli occhiali da miope, e si alzò. Per prima cosa tirò il primo cassetto del comodino, prese il blister delle pastiglie per la pressione, ne staccò una, e con quella andò in cucina dove si riempì un bicchiere con dell’acqua. Presa la pastiglia, si accese la prima sigaretta della giornata e andò in bagno. In bagno ritrovò il libro lasciato lì apposta la seduta prima e, togliendosi gli occhiali da miope, lesse le solite due pagine. Poi si fece una doccia, si vestì e uscì di casa. Sapeva di non essere ancora del tutto sveglio, gli ci voleva un caffè. Sulla strada del bar, circa cento metri prima, vide un uomo fermo sul marciapiede, intento a leggere delle epigrafi. Non conosceva quel tipo sulla quarantina vestito da operaio, non l’aveva mai visto. Lui le epigrafi non le guardava mai, non le trovava una lettura interessante, ma quella mattina, forse incuriosito dal modo in cui l’operaio sembrava averle studiate, lo fece. Arrivato al tabellone degli annunci, il lettore che l’aveva preceduto se n’era andato, si fermò. La prima frase che lo colpì, e che lesse uguale su tutti gli annunci fu: “È mancato all’affetto dei suoi cari”. Qualcosa non gli quadrava. Che voleva dire quella frase? Che uno morendo si sottrae all’affetto di chi è rimasto? Che è morto apposta per fare un dispetto ai parenti? E poi perché chi rimane non potrebbe più portargli dell’affetto? Quel “È mancato” gli suonò come un rimprovero: gli volevano bene tutti - bè, forse non tutti -, era stimato, non gli mancava niente, si era comprato pure la macchina nuova, ed è mancato. Che ingrato! Forse che i vivi - pensò che la gente pensasse - non tanto contenta del mondo in cui vive, fa scrivere quella frase sulla epigrafe per invidia? Chissà dove se n’è andato il defunto? Certo in un posto migliore di questo e ci lascia qui a combattere questa sudata esistenza. E dovremmo pure provare dell’affetto per uno così?</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Il giorno, spero lontano, che mi capiterà di morire, non la voglio quella frase sulle mie epigrafi. Anzi, non voglio nemmeno le epigrafi, pensò facendo un passo indietro, quasi a non volersi sentire complice di quella frase.</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">A quel punto un altro particolare lo colpì e lo fese pensare parecchio: un nome, il suo nome. Ho cavolo, com’è possibile? Chi è sto tizio che si chiama come me, che ha una moglie (ex moglie) che si chiama come mia moglie, una suocera che si chiama come mia suocera, che ha la mia stessa età e che è morto ieri? Dove cavolo ero ieri, che adesso non ricordo, e perché non me lo ricordo, e perché non mi sento tanto bene?</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">“I funerali si svolgeranno in forma privata, partendo dall’abitazione del defunto in via...” Che razza di scherzo è questo. Abito in una villetta mono-familiare e quello è il mio indirizzo! Sono mancato? E chi me lo fa adesso un caffè?</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Come tutte le mattine la sveglia suono alle sette precise. Allungò il braccio, diede una bottarella alla sveglia e la fece tacere. Si alzò subito. Era parecchio sudato.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-73735291678048719662012-02-28T13:42:00.001+01:002017-08-09T09:29:20.808+02:00Se mi manca?<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCxt4hqFyA4i1J0JiDs2pVI6Vp7YkbKh8tPggPRaDZdvYmmbZnuxRcRbBMfiLvNgK_ylfbGJdiwnvlH_NOEvM3nYnttBbajcLDZ1_By9VMTonLOcdYHNGR7n_H13O1ciFct1jhoGl5wg/s1600/cocci.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiCxt4hqFyA4i1J0JiDs2pVI6Vp7YkbKh8tPggPRaDZdvYmmbZnuxRcRbBMfiLvNgK_ylfbGJdiwnvlH_NOEvM3nYnttBbajcLDZ1_By9VMTonLOcdYHNGR7n_H13O1ciFct1jhoGl5wg/s1600/cocci.jpg" uda="true" /></span></a></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Se mi manca lei, chiedi? Non solo lei. Mi manca l’attesa, la speranza, il dubbio, il suo profumo, la sua voce, persino la sofferenza di quando mi sentivo trascurato, quando non mi chiamava.</span><br />
<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Mi manca sentirmi vivo. Mi manca il non sapere se sarò ancora vivo domani. Mi manca un senso, uno qualsiasi. Lo so, dovrei guardare avanti, oltre l’orizzonte del dolore. Dovrei chiedere all’istinto di sopravivenza di iniettarmi forti dosi di insensibilità, e andare avanti, oppure tornare indietro, o svoltare. Non so. E tu dici ancora che sui cocci del mio amore si leggeranno sempre le parole, gli sguardi, le carezze e i baci che gli hanno dato forma e colori, e che dovrei essere grato alla vita per questi doni. Si, hai ragione, dovrei farlo e lo farò, ma è presto. Ora ho i cocci di me da rimettere insieme. Domani la mia fragilità tornerà sulla strada, pronta a farsi dipingere di nuovi colori, oppure…</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-26078694143383232812012-02-14T11:10:00.001+01:002017-08-09T09:30:00.374+02:00Come mangiare ciliegie<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgv_Bh-RgJQ_YQTSiRx-ktdG4IRyjodP65VdlsH4CUuAk5M4NFhhpDxEaRC9UQJY5CMZcnnU9FltE6gs6y8x5iM8SbPDZUPO4ZPUNjVBcLO11t7pnPN3d6bRYP4MvVNiDropc95icuzXQ/s1600/Ciliegie.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" height="287" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgv_Bh-RgJQ_YQTSiRx-ktdG4IRyjodP65VdlsH4CUuAk5M4NFhhpDxEaRC9UQJY5CMZcnnU9FltE6gs6y8x5iM8SbPDZUPO4ZPUNjVBcLO11t7pnPN3d6bRYP4MvVNiDropc95icuzXQ/s320/Ciliegie.jpg" width="320" yda="true" /></span></a></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">14 Febbraio, San Valentino</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">In un giorno così, affollato di cuori e fiori, baci e sguardi che raccontano progetti di vita, speranze e piccole paure, desideri e rossori adolescenziali, anni vissuti insieme e dolorosi giorni di lontananza, liti dimenticate e lacrime in agguato, raggi di sole e arcobaleni, nuvole di bel tempo e notti stellate, dovrei sentirmi triste, perché sono solo, ma non lo sono.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ho regalato fiori e baci, sguardi architetti, speranze e desideri, lacrime e stelle. </span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">È stato bello e facile, come mangiare ciliegie. </span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">È stato bello e lo sarà ancora.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-32055374633751824662012-02-13T13:33:00.002+01:002017-08-09T09:30:46.472+02:00Litigio<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim3tciTo4zCbTomckrLUkaKbk7DcbOBPhObvK0rG4Rx_phxq3ggzgI4X_McQ4-Gqw_OPvsvXUhnBRjpi_uDqDhyphenhyphen0zFMJsPXec2ylvumlw2o-7pck-VN50BdbOigtdDtcqC7rxTU9_Rjw/s1600/neuroni-e-nucleus-struttura-del-cervello.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" height="240" sda="true" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEim3tciTo4zCbTomckrLUkaKbk7DcbOBPhObvK0rG4Rx_phxq3ggzgI4X_McQ4-Gqw_OPvsvXUhnBRjpi_uDqDhyphenhyphen0zFMJsPXec2ylvumlw2o-7pck-VN50BdbOigtdDtcqC7rxTU9_Rjw/s320/neuroni-e-nucleus-struttura-del-cervello.jpg" width="320" /></span></a></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ho voglia di non pensare a niente. Anzi, ne ho bisogno. Mi ci vorrebbe una cena, magari, fra amici, fra persone che vorrebbero sapere, che sanno, che vorrebbero poter fare qualcosa; prendermi a schiaffi, ad esempio.</span><br />
<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Amici che capiscono che non è il momento di fare domande e se le tengono in tasca, per la prossima occasione, per il giorno che mi vedranno ridere di una cazzata che ho fatto, e, approfittando del mio buon umore, mi rovesceranno addosso l’amicizia che ho loro represso, per pudore, per dolore, per stupidità.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Quel giorno si vendicheranno con gusto. Gli amici sono fatti così, fortunatamente; sanno aspettare il momento giusto per incidere una ferita e asportare il marcio che ti sei coltivato, prima che sia troppo tardi. E poi, quando ti vedono guarito, si incazzano come bestie, esagerano volutamente i rimproveri, si trattengono a stento dal farti un occhio nero, arrivano a piangere le lacrime che il tuo orgoglio non ha voluto piangere.</span><br />
<br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Spero arrivi presto quel giorno, ma non troppo presto. Oggi, mentre scrivo queste parole, contraddicendomi confusamente, ho voglia di non pensare a niente.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Certo che litigare con il proprio cervello è proprio da dementi.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-51479424905805410342012-02-10T15:41:00.001+01:002017-08-09T09:31:17.841+02:00Urla<br />
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<div class="separator" style="clear: both; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif; font-size: 11px; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEik5C38wbrZv5RsIks18zQPOIa6eOMWifwNny6VWMBv0970RowSjdaq4Y973748mAkf5Y6saQs0OBN7ZiOmQaSyX1l7sP5ShdBTJTbfyGIVJLcJqnZXQCoIYSxzX6fBU2s_iKosDcG3nQ/s1600/urlo_OK.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="191" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEik5C38wbrZv5RsIks18zQPOIa6eOMWifwNny6VWMBv0970RowSjdaq4Y973748mAkf5Y6saQs0OBN7ZiOmQaSyX1l7sP5ShdBTJTbfyGIVJLcJqnZXQCoIYSxzX6fBU2s_iKosDcG3nQ/s200/urlo_OK.jpg" width="200" /></a></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">L’anima ferita urla.</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Urla per non sentire la ragione,</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">per sfuggire al corpo, che stanco la trascina nei suoi abissi,</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">per cancellare il tempo e le parole che l’hanno fermato,</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">per non morire sotto il filo della sua stessa spada.</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Urla al vento del suo inverno un amore negato, non creduto.</span></div>
<div style="color: #333333; line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ora, freddo ricordo della luce.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-86923277176464780062012-02-03T13:43:00.002+01:002017-08-10T08:13:13.407+02:00Omero<br />
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: center;">
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfk48H3d60_OIXZF8VKrbOBw29Ftlta8AsivBnV4SjSRBfabDr0fTxSGsDGkbWviIvcBLrrdTiCMJaOHHbG7AHn62oeNNpnPpwjefnvklbfME-mmm48cUy3cxioZchDAhsV1WwBXj7Hw/s1600/Lupo.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfk48H3d60_OIXZF8VKrbOBw29Ftlta8AsivBnV4SjSRBfabDr0fTxSGsDGkbWviIvcBLrrdTiCMJaOHHbG7AHn62oeNNpnPpwjefnvklbfME-mmm48cUy3cxioZchDAhsV1WwBXj7Hw/s1600/Lupo.jpg" /></span></a></div>
<span class="Apple-style-span" style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"></span></div>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<br />
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">Omero</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Quel giorno d’estate l’aria, carica di odori, risaliva piano la valle dove la mattina avevo sorpreso una lepre scaldarsi al primo sole. Fra due rocce, al limite di una radura, ero sottovento alla bestiola, che per questo non mi ha sentito; un balzo e per lei il sole s’è spento; io sapevo che, grazie alla sua carne, l’avrei rivisto l’indomani. Per un lupo non è un gran pasto una lepre, ma da quando ho lasciato il branco per cercarmi un mio territorio la caccia è diventata un’impresa difficilissima, tanto che quasi non ricordo più il sapore della carne del cervo.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Anch’io stavo cercando di scaldarmi al sole, quando, guardandomi intorno per essere sicuro di essere solo, di non correre pericoli, ho visto un uomo. Era lontano e ci divideva una piccola valle; non era una minaccia. Credo non mi vide, allora. Non mi ero accorto della sua presenza perché il vento non mi aveva portato il suo odore; lui stava leggermente più in alto di me, sottovento, sul costone opposto, e sembrava dormisse, seduto su di una panca, appena fuori la porta di una casa, tutta pietre e legno.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Sono rimasto fermo, accucciato nell’erba alta, a guardarlo. Sulla testa il suo pelo era bianco come la neve. Avevo visto altre volte degli uomini, che lontani seguivano sentieri montani, nel fitto di un bosco raccoglievano funghi e mirtilli, o più in alto, dove il bosco si dirada e finisce, camminare, uno dietro l’atro, in silenzio, fino a raggiungere le vette; forse salivano così in alto per controllare il territorio e capire dove è meglio cacciare, dove più facilmente passeranno le prede. Mi è capitato di salire, ma non così in alto, per meglio capire come spostarmi sulla montagna.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Dopo un po’ l’uomo s’è alzato ed è entrato in casa. Stavo per andarmene, quando ho visto del fumo salire da un punto del tetto. D’istinto mi sono alzato, pronto a fuggire; il fuoco l’avevo visto una sola volta, anni prima, ed era stato terribile. Allora ero ancora nel branco; ululati, guaiti e corse, da non saper più cosa e dove andare. Due cuccioli e una giovane femmina non li trovammo più.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Il fumo che vedevo, però, era magro quanto me e non sembrava voler divorare la montagna, come l’altra volta. Saliva lento, girando, come a volte fa il falco, e ogni tanto, sospinto da una brezza diversa, cambiava direzione, ma non tanto da raggiungermi. Comunque, il suo odore, anche se leggero, già lo sentivo e non mi piaceva. Me ne sono andato, anche se dell’uomo che avevo visto avrei voluto saperne di più. Non sembrava pericoloso, ma poteva esserlo.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">La notte di caccia era stata lunga e anche se non troppo fredda ero stanco. Era ora che riposassi. La mia tana stava più in alto, nel bosco, sullo stesso costone della casa, che avevo già visto altre volte, però deserta, e per raggiungerla ho dovuto superare il ruscello che scorreva nella piccola valle, per poi salire ancora, questa volta inseguito dall’odore del fumo acre e forte che, oltretutto, confondeva, se non copriva, tutti gli altri odori. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Tutti meno uno, che di quel fumo sembrava compagno e per me era nuovo, inatteso e in contrasto con l’odore della legna bruciata. Fuoco e acqua e qualcosa di sconosciuto, che mi ricordava i campi della pianura che avevo percorso un tempo, componevano quell’odore. Non so cosa fosse, non lo capii, ma non mi parve ostile, cattivo, al contrario del suo compagno acre. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Salendo ancora, gli odori del bosco vinsero sul fumo. Il territorio che avevo imparato a conoscere nei mesi passati era tornato alle mie narici, intatto e rassicurante, e, giunto alla tana, dormii, ma non del tutto tranquillo. L’uomo, con il suo pelo bianco, visitò il mio sonno, più volte.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">L’uomo</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Quel giorno d’estate l’aria, carica di profumi, risaliva piano la valle che portava al vecchio rifugio, ormai quasi abbandonato, dove avevo deciso di passare qualche giorno, in solitudine. Ero partito dal fondovalle che era ancora buio e appena arrivato mi ero seduto su di una piccola panca, posta appena fuori la porta, e riposandomi gustavo l’aria pulita e la pace del posto, quando ho visto, di là della valletta, un lupo.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">M’è parso mi guardasse. Non s’è mosso; fermo e steso fra l’erba alta, c’è rimasto parecchio. Anche quando mi sono alzato per andare dentro ad accendere il fuoco non s’è mosso; immagino credesse che non l’avessi notato.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Aveva il pelo arruffato, giallognolo e grigiastro ed era molto magro. Magro come me quando avevo vent’anni, clandestino, affamato, con poco più che la mia pelle addosso e l’istinto che mi urlava di non morire. Avrei voluto sorridergli, ma non l’ho fatto; per un lupo mostrare i denti è segno di aggressività. Quel lupo m’è stato subito simpatico e non volevo avesse paura di me e se ne andasse. Ė difficile incontrare un lupo in natura. Ė un’animale schivo, che solitamente si tiene alla larga dagli uomini. Non mi ha sentito. Non ha sentito il mio odore, intendo. Un caso fortuito ha voluto che ci incontrassimo, quel giorno. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Ricordo che, subito dopo, mentre cucinavo la polenta avevo pensato a quanto la mia giovinezza somigliasse a quella del lupo che avevo appena visto. Anch’io avevo lasciato la mia gente, il branco, in cerca del mio futuro, come lui, immaginavo, visto che era solo e così malandato.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Ero stato solo, come lui, in fitti boschi fatti di palazzi e strade, negozi di scarpe e benzinai, cinema e siringhe sporche; solo fra uomini che non mi vedevano o non volevano vedermi. Era stata dura, ma alla fine, anche se vivendo a panini per mesi, il futuro me l’ero preso, e preso lui avevo incontrato Elena, il premio divino per la mia tenacia e il mio lavoro.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Ho sperato che gli andasse tutto bene, credendo che non l’avrei mai più rivisto. Ricomparve, invece, la mattina dopo. Stesso posto, ma in piedi, fiero. Voleva che lo vedessi. Mi stava dicendo o chiedendo qualcosa? Ero in casa, nella penombra, quando l’ho visto attraverso la porta aperta; ero appena tornato da un breve giro nel bosco, lì intorno, dove avevo raccolto della legna e avevo ancora in mano un pezzo di ramo secco che, d’istinto, ho lasciato cadere. Forse non poteva vedermi, così in ombra, ma non mi andava mi vedesse con quel bastone, quell’arma, in mano. Consideravo un miracolo rivederlo e non volevo rovinare il momento. So cosa siano le bastonate, sia quelle vere, quelle che ti rompono le ossa, sia le altre, le peggiori.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Dopo un attimo sono uscito, mi sono seduto sulla panca, accanto all’uscio, ho alzato la testa e l’ho guardato. Il lupo, fulmineo, ha scartato di lato, fermandosi quasi subito, le orecchie e il pelo sul dorso ben dritti. Era troppo lontano per poter capire, guardandogli gli occhi, l’espressione. Sfida o Paura? O era solo curiosità? Difficile da dire. Difficile anche perché lo umanizzavo, cercando di indovinare i suoi pensieri analizzandoli come fossero i miei. E un lupo, mi sono detto. Tocca a me scendere i gradini della ragione per tornare, uomo animale, all’istinto naturale che lo guida e dovrà guidare me nel nostro dialogo a distanza. Subito dopo, ricordo d’aver pensato: è possibile un dialogo fra noi due? Conosco ciò che ci divide, ma quel che ci accomuna? Può bastare il ricordo della mia difficile giovinezza, che a me pare simile alla sua? Se si, cosa dire, o meglio cosa fare, visto che lui non può capire le parole; difficile tornare animale.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">Omero<span style="letter-spacing: 0px;"></span></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">Qualcosa di quell’uomo dal pelo bianco come neve mi confondeva. L’istinto mi diceva di non fidarmi, ma... Era forse quell’odore strano e sconosciuto che il giorno prima avevo sentito, misto al fumo, a disorientarmi? Svegliandomi, mi ero chiesto cosa fosse quell’odore e m’era parso mi ricordasse qualcosa, ma non ero riuscito a capire cosa. Non era un luogo, né un fiore, né una pianta del bosco, né la pioggia, né l’erba secca di fine estate, né il sangue o il sudore di una preda, né un fungo; non capivo come, ma mi ricordava il branco e i giorni sereni, a pancia piena, dopo una buona caccia</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Ero tornato sul costone di fronte alla casa per quello, per risentire quell’odore, capire.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Prima, da lontano, avevo seguito l’uomo mentre camminava nel bosco raccogliendo rami secchi e quando se n’era andato avevo ripercorso i suoi passi, annusando le sue orme. L’odore di quell’uomo non era molto diverso dall’odore di altri uomini: fastidioso, intruso, per niente interessante. E poi, se il suo odore lo sentivo io lo sentivano anche le mie prede e non mi andava di spostarmi ancora; era mia o sua la montagna? Avrei dovuto affrontarlo? E come?</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Dal tetto della casa il fumo non saliva più. Dell’odore sconosciuto percepivo appena una vaga traccia; troppo debole, lontana, coperta dagli odori del sottobosco, che scaldati dal primo sole, liberandosi della rugiada, si spandevano insistenti, padroni dell’aria.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Quando l’uomo è uscito dalla casa e ha guardato verso di me, l’istinto, per un attimo, ha mosso le mie zampe. Ho avuto paura, ma se fossi fuggito avrei perso il territorio; sfidarlo, anche se a distanza, era l’unica cosa che potevo fare. Il sangue mi scorreva veloce in petto e tutto in me fremeva, come fa il pelo nel vento gelido dell’inverno.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">L’uomo non si muoveva. Mi guardava calmo, seduto, le spalle stanche e gli occhi scuri e sottili che non mi minacciavano. Non aveva paura di me, come io di lui. Era lui il più forte? Forse no. L’avevo visto camminare a fatica nel bosco, poco agile, aiutarsi con un bastone per mantenere l’equilibrio. Era lento, ma molto più grande di me e non era un cervo, una preda conosciuta. Fermo. Potevo solo starmene lì fermo, sperando che capisse che quello era il mio spazio, la mia vita; vita che dovevo difendere. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">L’uomo</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Al rifugio ero salito per starmene un po’ solo e pensare o forse non pensare affatto, prendermi una pausa dalla frenetica città. Avevo odiato e amato le città a secondo delle difficoltà o le opportunità che negli anni vi avevo trovato; erano il mio ambiente, ne ero consapevole, non avrei saputo viverci lontano. Non erano i semafori, i palazzi e i negozi a mancarmi quando me ne allontanavo, pativo l’assenza degli amici, i conoscenti e la gente in genere. Qualcuno da ascoltare che a sua volta mi ascoltasse. Il branco, se fossi stato un lupo; un lupo come quello che, lontano, sull’altro costone della valle, avevo di fronte.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Ecco cosa ci divideva e allo stesso tempo univa, l’ambiente, ognuno il suo. A me bastava alzarmi dalla panca su cui stavo, staccare lo zaino dal gancio al quale era appeso e scendere a valle. Qualche ora di cammino e sarei stato a casa. Lui, il lupo, era già a casa sua. Dovevo scendere, fare un passo indietro per poterne fare uno avanti, verso il rispetto per la sua vita, il suo spazio. E così feci, subito, senza voltarmi, contento della mia scelta.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;">Non erano che pochi minuti che scendevo e l’ho sentito. Il lupo ululava. Ringrazia, ho pensato? Lo stavo umanizzando e ho sorriso del mio pensiero. Ho risposto, goffamente, al suo ululato. Chissà come l’avrà preso quel mio verso sgraziato?</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">Omero.<span style="letter-spacing: 0px;"></span></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px; text-align: justify;">
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;">L’uomo se ne andò. Non ne salì più di fumo da quella casa. Non seppi mai che cosa fosse quell’odore di campi della piana. Nessuno del mio nuovo branco lo seppe mai.<span style="letter-spacing: 0px;"></span></span><br />
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: "helvetica neue" , "arial" , "helvetica" , sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-32669058911657428782012-01-07T00:18:00.001+01:002017-08-09T09:32:46.540+02:00Un pensiero alle vongole<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333;"> </span></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWakjJrHUoMbA5DzMTNnn12kgazHK3Qyv1Ujg1zg_JibPNf7t-1dLNGZN8uHUW1rIWotp3IkUhNJ5JLPMkvIMTmFjiz3jJXF2HxE6Vei0OwTScmNzLLjhZN3Ln9w7NU5t0SSIAyiskpw/s1600/spaghetti_vongole.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjWakjJrHUoMbA5DzMTNnn12kgazHK3Qyv1Ujg1zg_JibPNf7t-1dLNGZN8uHUW1rIWotp3IkUhNJ5JLPMkvIMTmFjiz3jJXF2HxE6Vei0OwTScmNzLLjhZN3Ln9w7NU5t0SSIAyiskpw/s320/spaghetti_vongole.jpg" width="213" /></span></a></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Gian mi parlava di aerei, di ultraleggeri, per essere precisi. lo ascoltavo distrattamente. Piacciono anche a me quegli aggeggi volanti, ma non mi fido. Già ho la testa sempre fra le nuvole, i piedi preferisco tenerli sotto a un tavolo, come in quel momento, sotto a quello di un ristorante. Stallo, scivolata d’ala, salita rapida o ripida, fonia, controlli pre volo, arco bianco e tutta una serie di acronimi in inglese di cui non ricordo mai il significato, accompagnavano gli spaghetti alle vongole e il vino: un Vermentino, ben fresco.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Il locale era frequentato. L’avevamo scelto per quello, era un buon segno, come pure il menù del giorno a tredici euro, vino a parte. Io, fra una semi ala e una tacca di flaps, parlavo di me, dei miei racconti, delle idee sempre confuse e recalcitranti che affollano la mia testa facendomi confondere il reale con ciò che scrivo. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Parlavo e pensavo e mentre ero lì che leggevo negli occhi di Gian le sue virate, i miei occhi hanno virato a loro volta, finendo per atterrare in mezzo a una coppia di ragazzi, seduti ad un tavolo, un poco defilato, dietro a Gian.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Dal tavolo dei ragazzi, servite su un piatto di brusii, mi arrivavano spezzoni di frasi: “La moto la ritiro domani. Seicento euro di danni m’ha fatto quel cretino”. ... “Avrei voluto andarci anch’io, in treno, a Venezia, con la Carla e Luisa. Mio padre non m’ha lasciata; ha detto che se volevamo ci portava lui, in macchina. Ma dai! Non è la stessa cosa. Figurati...Le mie amiche con mio padre. Sarebbe stato un viaggio muto”. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Lei aveva un’espressione a metà fra il contento - forse di essere li - e il deluso, per il viaggio in treno mancato, immaginavo. Lui giocava con le briciole del pane, sembrava nervoso. Mi sono giunte altre frasi, alcune monche a causa dei rumori provenienti dal bancone del bar della sala accanto, tutte slegate. I due si comunicavano pezzi delle loro vite, informazioni di base. Il tracciato per le fondamenta di una relazione? Forse.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Gian ha ordinato dell’acqua minerale e per un momento sono tornato a ciò che succedeva al nostro tavolo. Bene per l’acqua; avrei dovuto guidare dopo pranzo ed era meglio non eccedessi con il vino. Un attimo dopo sono arrivato altri due clienti e si sono seduti al tavolo vicino.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Erano due uomini, sui trentacinque quaranta, giacca e cravatta, borsa di pelle posta in terra accanto alle rispettive sedie, cellulare sul tavolo. Aspettavano la cameriera leggevano il giornale. Mi sono chiesto cosa contenessero quelle borse. Documenti bancari? il depliant che ti dice tutto sull’ultimo modello di aspirapolvere industriale? La relazione del professorone famoso, più per essere passato in televisione che per le sue scoperte in campo medico? I documenti per sposarsi? Le pratiche di divorzio?</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Messo giù il giornale, il tipo biondo si è messo a raccontare della sua ultima vacanza al mare: stessa spiaggia e stesso mare, stesse bagnanti e stessa moglie.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">L’altro annuiva e con piccoli gesti delle mani evidenziava, si dichiarava contrario o d’accordo, enfatizzava o ridicolizzava, le parole di chi gli stava di fronte: un collega, penso. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“Due ravioli, acqua minerale naturale e dopo... magari... un dolce...” Il primo.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">“ Insalatona, acqua gassata e no...basta. Niente dolce.” il secondo.</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; min-height: 14px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Ognuno parlava delle proprie cose: quel che aveva fatto o voleva fare, quel che aveva sentito e quello che aveva detto, ciò che aveva visto e quel che si era perso. Tutti, lì, parlavamo di se, delle proprie emozioni. E io pensavo che siamo fatti di emozioni ed è un peccato che le parole non riescano quasi mai a testimoniarle a dovere. </span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">La lingua, indispensabile strumento del quotidiano, è quasi sempre inadeguata a questo compito.Proviamo a trasmettere al meglio le emozioni, pur sapendo che per quanto ci si sforzi di descriverle minuziosamente, chi ascolta non le vivrà e, dunque, non ne potrà sentire interamente la forza. Forse è per questo, per questa consapevolezza, che non ci sforziamo mai abbastanza. Ci manca quel briciolo di fantasia o di pazzia che ci faccia sperare di riuscirci? O siamo sono pigri? Pensiamo che una vera comunione non sia mai possibile?</span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;">Per giustificarci ci diciamo che anche se si è vissuta la stessa esperienza, la si è vissuta in modi diversi, e così lasciamo perdere. Comportandoci così, però, una parte di noi rimane sola. Forse vuol rimanere sola, in disparte. Protetta da chissà quale timore? Chissà?</span></div>
<div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0.0px;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-82568896072438188362011-10-20T10:02:00.002+02:002017-08-09T09:33:24.023+02:00L'apprendista ribelle<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBJBYuFvgr6LBcfG4xgmi2riNqFyXIyHl0iNxN8J8tUHumuKV-9_BQ-RJxLLooNiRO0KM7OBNQYqpvS6SMP_n6kNGZ4ETlFj3dWvAIwPxuI6NCp3U786RjL0ySaodHbqBo-RH1LLyTSg/s1600/dettagli-bicicletta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" height="140" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjBJBYuFvgr6LBcfG4xgmi2riNqFyXIyHl0iNxN8J8tUHumuKV-9_BQ-RJxLLooNiRO0KM7OBNQYqpvS6SMP_n6kNGZ4ETlFj3dWvAIwPxuI6NCp3U786RjL0ySaodHbqBo-RH1LLyTSg/s320/dettagli-bicicletta.jpg" width="320" /></span></a></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large; letter-spacing: 0px;"><br /></span></div>
<div style="font-style: normal; font-variant-caps: normal; font-weight: normal; line-height: normal; margin: 0px; text-align: justify;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; line-height: 16px;"></span><br /></span>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><span class="Apple-style-span" style="color: #333333; font-family: 'lucida grande', tahoma, verdana, arial, sans-serif;"></span><br /></span>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Quel tratto di muro romano sembrava facile da scalare. Le poche pietre squadrate rimaste dell’antico rivestimento e quelle cementate e sporgenti del riempimento interno garantivano una grande scelta di appigli facili, comodi e sicuri. Stavano su, ben saldi, da un paio di millenni a dispetto delle intemperie e forse di qualche battaglia, figurarsi se non avrebbero sopportato i trenta chili scarsi di un ragazzino. Gianni, Naso all’insù, aveva studiato a lungo la via che l’avrebbe portato in cima al muro. Seguendo il percorso con gli occhi, mimò persino tutta la sequenza dei movimenti di braccia e gambe, arrivando a decidersi: era facile. Chissà perché non l’aveva scalato prima, pensò. E poi sapeva che per scendere, una volta arrivato in cima, gli sarebbe bastato saltare giù, dal lato opposto, dove il muro, grazie a un riempimento, era alto meno di un paio di metri e sotto c’era il soffice verde di un’aiuola a garantirgli un atterraggio morbido. Prima di cominciare a salire, però, si voltò verso la strada. Era proibito arrampicarsi sulle mura, lo sapeva, e voltandosi si era accertato che non passasse nessun vigile. Da quando era stato multato perché andava in bicicletta in una via pedonale del centro, tutti i vigili gli stavano antipatici; cinquecento lire di multa per un bambino di nove anni erano uno sproposito, tanto che suo padre, semplice operaio e dunque sempre a corto di soldi, si era arrabbiato moltissimo con quel vigile, dimenticandosi persino di rimproverarlo. La multa era stata pagata e Gianni, mortificato più dall’umore nero di suo padre che dalle cinquecento lire, aveva deciso che da grande si sarebbe vendicato e nel frattempo, di nascosto da tutti, si sarebbe allenato a disobbedire all’ordine costituito. Scalare un muro proibito era una delle tante prove da superare per diventare un ribelle.</span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Sulla stradina sterrata del giardini pubblici che si allungavano sotto a quel tratto di muro romano non c’erano vigili, poliziotti o carabinieri. Solo un donna, che portava un abito chiaro e spingeva una carrozzina azzurra. La donna, ogni tanto, si piegava verso il suo bambino e scuoteva dolcemente la testa; sicuramente stava parlando al figlio, ma era troppo lontana perché Gianni la potesse sentire e troppo impegnata per accorgersi di qualcos’altro. Era primavera e il vento tiepido faceva fremere appena le fronde degli alberi, lì intorno. Era un buon giorno per compiere l’impresa di scalare i cinque e forse più metri dell’antico muro. Era un buon giorno e Gianni si sentiva pronto. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Prima un piede, il destro, poi entrambe le mani, preventivamente bene asciugate sui calzoncini, poi l’altro piede e Gianni era in parete, anche se a soli trenta centimetri dal prato. La scalata non gli sembrò più così facile. Un conto è immaginare i movimenti eleganti e plastici di uno scalatore e un altro è compierli. Il vuoto sotto ai piedi gli cancellò l’immaginazione e la sostituì con la paura. Se vuoi salire devi agire, muoverti pensando bene a cosa stai facendo, contando sulla paura di sbagliare proprio per non fare errori. La scorta di paura di Gianni era abbondante e quella dell’incoscienza di più. Un altro piede, un’altra pietra, un’altra mano e così via. L’adrenalina salì. Gianni salì. Le chiome degli alberi fremettero meno di prima. Trattennero il respiro. Gianni fu quasi in cima. Gli mancavano due appigli. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Il penultimo si staccò e gli rimase in mano.</span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Precipitando, Gianni guardò la pietra cadere con lui, un ciottolo ovale, un granello di antichità che l’aveva tradito. Guardò il muro correre veloce verso l’alto e sentì il vento aumentare di intensità. Vide nel colore delle pietre il grigio della sua sconfitta e percepì lo scorrere veloce del sangue e un gran caldo, improvviso. Poi, a metà caduta, una prima botta: volando urtò con una gamba una delle pietre sporgenti dell’antico rivestimento, ritrovandosi girato di centottanta gradi, e di colpo gli occhi gli si riempirono di verde prato. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Il verde era meglio del grigio. Sul prato era caduto cento volte, giocando a pallone e non si era mai fatto tanto male. Sbucciature e graffi, mai niente di serio. Il verde era meglio, meno duro delle pietre. Sul verde era caduto da un albero, una volta, e non si era fatto male, non tanto. Sul verde era caduta anche sua zia, però, e lei si era rotta una gamba, ma era un’altra cosa, la zia era anziana e lui no, lui era forte. E poi doveva ancora superare un sacco di prove per diventare il ribelle che voleva diventare e il verde non poteva tradirlo come aveva fatto il muro. Non era giusto. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Buio, Silenzio, stordimento, nausea, sangue dal naso e lacrime. Gianni ci vedeva appena, attraverso le lacrime. Pur avendoli a pochi centimetri dagli occhi non distingueva i fili d’erba e lo stordimento non gli faceva più sentire il corpo. Subito si spaventò, ma poi, pensando che una gamba la si sente se fa male, non se tutto è a posto, si calmò. Chiudendo gli occhi fece l’inventario dei suoi pezzi. Nessuno di questi mandò segnali allarmanti, tranne il naso. Il naso pulsava e colava abbondantemente. colava sangue. Pulsava, colava e cominciava a fare un male boia. Sperando di non scoprire di essersi ferito anche da qualche altra parte, Gianni si rialzò. Prima solo in ginocchio e poi in piedi. Barcollò, ma dette la colpa al terreno sotto ai suoi piedi che non era in piano; dal muro del suo fallimento, saliva appena, verso i giardini, ed era la pendenza del prato che, pensò, lo stesse ingannando. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Dopo qualche passo incerto, ritrovato l’equilibrio e asciugatosi gli occhi dalle lacrime, si guardò intorno. La signora vestita di chiaro che spingeva la carrozzina azzurra era ancora sulla strada sterrata del giardino, un poco più avanti. Non era svenuto, cadendo. La signora non sarebbe stata solo una trentina di metri avanti rispetto a prima che lui salisse il muro; a meno che non avesse fatto avanti e indietro più volte. No, non era svenuto, rimanendo incosciente a lungo, non gli sembrò proprio. E poi se era in grado di ragionare e stare in piedi voleva dire che stava bene. Niente di grave, solo un po’ di sangue dal naso. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Si era fatto molto più male quella volta che con la bicicletta era finito fuori strada, giù per una vigna; e per giunta, ruzzolando, le forcelle della bici si erano piegate e aveva dovuto portarsela a casa a spalle. Anche le cinghiate che quella volta gli aveva dato suo padre per essere scappato dal cortile erano state peggio della caduta che aveva appena fatto. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Questa volta le avrebbe prese da sua madre, di sicuro. Sia la maglietta che i pantaloncini erano sporchi di sangue. Anche un calzino si era macchiato e il sangue colava ancora. Poco, rispetto a prima, ma colava. Non poteva tornare a casa in quello stato. Doveva trovare un modo per pulirsi, almeno un poco. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Poco distante, in fondo ai giardini e proprio di fronte alla stazione ferroviaria, c’era una fontana. Si sarebbe bagnato parecchio, prendendosi forse un raffreddore, ma qualcosa di tutto quel sangue sarebbe forse andato via. </span></div>
<div style="line-height: 1.5em; margin: 0px;">
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">La bici l’aveva lasciata in cima al prato, a lato della strada sterrata dove prima c’era la signora con la carrozzina. Risalito il prato vide che la signora non c’era più. Nessuno lo aveva visto scalare e cadere. Meglio così. Recuperata la bici raggiunse la fontana e lì, per prima cosa, si lavò la faccia. Mica facile lavarsi. Il naso gli faceva veramente male e ogni volta che lo toccava il dolore aumentava, ma il sangue, dopo un po’, si fermò. La fontana era bassa e per lavarsi doveva chinarsi e questo gli faceva girava la testa. Ogni tanto si raddrizzava, si appoggiava con una mano alla fontana, e tutto sembrava tornare a posto. Forse era il freddo dell’acqua, in contrasto con il caldo che sentiva dentro e che gli pareva volesse uscire tutto dal naso, che gli faceva girare la testa. Troppo scomodo quel posto per lavare anche la maglietta e il resto. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Poi, un signore di passaggio, lo notò e gli chiese se stava bene, se per caso qualcuno l’avesse picchiato. Gli disse anche che aveva una faccia così, e allargò le mani davanti al suo viso, per farsi capire meglio. E poi ancora, gli disse che doveva andare in ospedale, e subito, che forse aveva qualcosa di rotto, non si sa mai. Vuoi che ti ci porto? Ho la macchina, qui vicino, finì. No, rispose Gianni che non si sentiva poi così male e che non voleva lasciare la sua bici lì. Già gliela avevano rubata, tempo prima, ma poi era stata ritrovata. Mai l’avrebbe lasciata lì. La bici era la cosa più preziosa che aveva. Anzi, era l’unica cosa che possedesse. Impossibile abbandonarla. Suo padre non gliene avrebbe comprata un’altra. Mamma diceva sempre che con i soldi “erano nelle curve”. I soldi erano sempre un problema, anche per il gelato, solo la domenica, e senza la panna sopra. Figurarsi per una bicicletta nuova.</span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Lo so dov’è l’ospedale. Ci vado da solo, in bici. Sto bene, grazie. E così dicendo Gianni inforcò la sua amata bici e, continuando a non vederci tanto bene per via delle lacrime, che al contrario del sangue non si erano fermate, attraversò la città. Traffico, pedoni e semafori. Tutto era più complicato del normale, ma all’ospedale ci arrivò. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">A fianco dell’ingresso del pronto soccorso c’erano alcune di quelle griglie apposite per parcheggiare le biciclette e lì, Gianni, a malincuore perché non aveva un lucchetto per chiuderla, lasciò la sua bici, sperando non sparisse. Sulla porta del pronto soccorso c’era un tizio in divisa, un poliziotto. Vedendolo, Gianni provò arrestarsi a metà della scala che portava all’ingresso, si inciampò e dovette mettere le mani a terra per non rompersi quel che rimaneva intero del viso. Il poliziotto rise e gli disse di stare attento, che il naso se l’era già rotto e non era il caso si rompesse qualcos’altro. Gianni aveva fatto qualcosa di proibito e sapeva che prima o poi lo si sarebbe venuto a sapere, ma la vista di un poliziotto lì, ancor prima di un dottore, lo stupì. Doveva impararne ancora tante di cose per diventare un ribelle e prima di tutto doveva imparare a non farsi male. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Ma ormai era lì, la lezione gli sarebbe tornata utile una prossima volta, e il naso pulsava, aveva ripreso a sanguinare, e anche il polso sinistro, adesso, gli doleva. Si era riparato, cadendo sul prato, mettendosi il braccio davanti alla faccia e ci aveva dato dentro una bella zuccata. Prima di entrare si voltò a guardare la sua bicicletta. Sarebbe stata al sicuro, lì? Il poliziotto interpretò lo sguardo di Gianni e gli disse di non preoccuparsi, che la bici l’avrebbe sorvegliata lui e che poteva stare tranquillo. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Appena fu entrato un’infermiera gli si avvicinò, lo prese per mano dicendogli che non era niente e lo portò in una stanza dove non c’era nessuno, solo dei mobili di metallo laccati di bianco e vetro, e un lettino alto e sottile che doveva essere scomodissimo per dormirci su. Sullo scaffale di uno degli armadi c’era una scatola di latta rettangolare, bassa, dagli angoli smussati, che Gianni conosceva bene: era una scatola porta siringhe. Non gli facevano paura le punture, anche se era ancora un bambino ne aveva subite tante e aveva imparato a portare il peso del corpo sulla gamba opposta al gluteo che sarebbe stato colpito dalla siringa. Bastava non irrigidirsi e tutto sarebbe passato in un baleno, a meno che la puntura non fosse di quelle oleose. Quelle erano terribili e gli facevano salire immediatamente la nausea e la febbre, tanto che poi era difficile stare in piedi. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Comunque, Gianni sperò che non ci fosse bisogno di punture per curarlo. Un medico arrivò quasi subito, lo guardò, gli prese il naso con due dita, lo mosse appena di qua e di là e gli disse: “È rotto, ma non è niente di grave. Stai tranquillo. Ti terremo qui, qualche giorno, per essere sicuri che sia veramente tutto a posto. L’infermiera ti troverà un letto e qualcuno avvertirà i tuoi. Mi hanno detto che ci sei arrivato da solo, qui in ospedale, vero? Bravo.” Dopodiché, il medico, gli riempì di garza le narici del naso e poi richiamò l’infermiera. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Due persone gli avevano detto di stare tranquillo, ma tranquillo, Gianni, non lo era per niente. Seduto dove l’infermiera gli aveva detto di aspettare, capì che era in un guaio più grosso di quanto non gli era parso prima. Altro che maglietta sporca. Era ricoverato in ospedale e se uno deve stare in ospedale vuol dire che non è vero che non ha niente. E poi sua madre si sarebbe spaventata, e non solo lei. In quei giorni, in visita, c’erano anche le zie, le due sorelle di mamma. Una delle zie era quella che, tempo prima, si era rotta una gamba scivolando sull’erba. Chi avrebbe portato la notizia del suo ricovero e come e cosa avrebbero detto? Quello era il vero guaio, non il naso. Gianni sapeva quanto fosse apprensiva sua madre e temette che le sarebbe preso un colpo se le avessero detto soltanto che suo figlio era all’ospedale, senza dirle che si era “solo” rotto il naso, ma stava bene.</span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Prima dell’infermiera arrivò il poliziotto e lo portò in un'altra stanza, più piccola, dove c’erano una scrivania con sopra una macchina per scrivere, delle cartelline e delle penne a sfera. Da una delle pareti pendeva un calendario, in un angolo, a fianco dell’unica finestra, c’era una pianta mezza rinsecchita e nell’angolo opposto un attaccapanni di ferro, a piantana. Due sedie, una per lato della scrivania, completavano l’arredamento. Era la seconda volta che Gianni entrava in un ufficio. Prima aveva visto solo l’ufficio del preside della sua scuola, che ricordava pieno di libri, armadi e carte ovunque. Dal preside era stato mandato dalla sua maestra perché, durante l’intervallo, aveva tirato il cancellino a un compagno, mancandolo. Il proiettile aveva attraversato tutta l’aula, varcato la finestra aperta ed era finito giù in strada. Il preside, un omone alto, magro e occhialuto, aveva alzato appena la testa dalle carte che aveva sotto al naso per guardarlo da sopra le lenti e con un filo di voce gli aveva ordinato di raccontargli, per filo e per segno, cos’era successo. Anche il poliziotto, sedutosi al suo posto, gli chiese cos’era successo, così, come fosse facile ammettere di aver fallito la prova del muro, che sembrava tanto facile. Con il naso tappato dalle garze, Gianni fece fatica a riconoscere la sua stessa voce, ma sbiascicando, ripetendosi, inventandosi scuse, confesso il delitto. Ma al poliziotto premeva solo sapere se si era fatto male da solo o se qualcuno l’aveva picchiato. Voleva sapere come si chiamava, dove abitava e chi erano i suoi genitori. Come e perché era salito sul muro non era importante. Gianni si sentì confuso. Il suo nome era solo un dato utile a rintracciare i suoi genitori, il suo stato di salute contava poco e la sua colpa non era presa in minima considerazione. Il poliziotto scrisse ancora qualcosa su di un foglio, si alzò e riaccompagnò Gianni alla sedia del corridoio. Dopodiché richiamò l’infermiera e se ne andò. come ribelle, Gianni, non era nessuno e non contava niente. </span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">Le lacrime tornarono a scendere. L’infermiera arrivò, lo accompagno lungo un paio di lunghi corridoi fino a una camerata che contava sei letti, lo aiutò a spogliarsi, a salire sul letto e mentre metteva le sue poche cose in un armadietto gli disse: “Fai il bravo, la mamma arriva presto”. Dal letto accanto al suo, un signore con il braccio destro ingessato, lo salutò sorridendogli, alzando la mano sinistra. Nel letto di fronte a quello di Gianni dormiva un tipo con una gamba appesa a un trespolo fissato al fondo della branda, e dal letto vicino al tizio con la gamba appesa, anche un’altra persona, la testa fasciata che sembrava una mummia egizia, gli fece un cenno di saluto. I due letti rimanenti non erano occupati, ma sfatti. Sembravano tutti reduci di qualche battaglia persa. Gianni, con le sua garza infilate nel naso, che nemmeno si vedevano, si vergognò un poco, sentendosi una recluta imbranata. Chissà che razza di muro avevano affrontato gli altri per farsi così tanto male. Meglio far finta di aver sonno, pensò, girando la testa verso la parete alla sua destra, dove non c’erano né letti, né eroi, né ribelli.</span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">“Mamma arriva presto”.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span></div>
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Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-31415295792314739.post-40363187883547041862011-09-29T13:47:00.001+02:002017-08-09T09:34:20.137+02:00Animale sociale?<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span><br />
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
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<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span></div>
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQekp9v3OJhjUxkE3YjfUmfQqWFWtb-MeWIv60hf_QqS5yCFl1_gVfy9Is2StjoYiYn1odr0zT3ghDZWOLSEZDSU67Q_gOrAr-BfmOXh1nH0oAZpRvAx_6b3bNu6XOQuFBYRv4yJj8BQ/s1600/uomo+panchina.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQekp9v3OJhjUxkE3YjfUmfQqWFWtb-MeWIv60hf_QqS5yCFl1_gVfy9Is2StjoYiYn1odr0zT3ghDZWOLSEZDSU67Q_gOrAr-BfmOXh1nH0oAZpRvAx_6b3bNu6XOQuFBYRv4yJj8BQ/s320/uomo+panchina.jpg" width="214" /></span></a></div>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;">La bimba spingeva con tutta la forza dei suoi tre anni sui pedali della bicicletta giocattolo, cercando di star dietro a suo fratello, di qualche anno più grande di lei, che la precedeva montando una MB. Ogni tanto si perdeva a guardarsi intorno, rischiando di investire i passanti della via pedonale del centro città. Arrivata a uno slargo, si era messa a girare intorno a un ragazzo che stava suonando la chitarra e cantava brani degli anni sessanta o settanta, in inglese. Mi ero già fermato una volta, qualche giorno prima, ad ascoltare quel musicista e le sue note, l’atmosfera, l’immagine di un altro bambino e il suo panino mi avevano colpito, riportandomi, dopo tempo, nuovamente a scrivere.
Dopo un poco, la bimba ha perso interesse per il musicista e ha proseguito per la sua strada. Non è riuscita ad andare lontano perché una delle rotelle laterali della sua bici, svitatasi, si è staccata facendola cadere, a due passi da me. Non si è fatta male, ma lo spavento le ha fatto esplodere un gran pianto. Sua madre si è precipitata a rialzarla e consolarla, io a rialzare la bici e, con l’aiuto del fratello della bimba, a riparare la rotella svitatasi. A riparazione ultimata quel che restava del pianto si è trasformato in un sorriso felice: tutto a posto, tutto bene. “Grazie, signore” mi hanno detto una massa di riccioli scuri, due enormi occhi lucidi e un sorriso da latte. “Ciao, vai piano” le ho detto io, ben sapendo che la mia raccomandazione non aveva alcun senso; è la parola piano che per un bambino piccolo, lanciato verso il futuro, non ha senso.
Dopo mi sono accomodato su di una panchina, poco lontana, ad ascoltare ancora qualche canzone e guardare la gente che passava, chiedendomi se era solo una coincidenza l’aver notato, in due momenti diversi, ma nello stesso luogo, quei due bimbi piccoli. C’entra qualcosa la musica? Ho pensato. Forse si. La musica non impegna gli occhi, puoi anche chiuderli, volendo, che non cambia niente, ma se mentre la ascolti li tieni aperti questi sono liberi di distrarsi o, meglio, di osservare attentamente quel che ti succede intorno. E poi, per ascoltare le canzoni suonate per strada da un ragazzo, devi fermarti e sospendere, anche solo per un momento, la frenesia del correre quotidiano.
Fermarsi. Mettersi un momento a lato. Quanto poco mi fermo a guardare la giornata, la vita che scorrere veloce? Quanto poco faccio attenzione al passare delle vite degli altri?
La prima volta che mi sono fermato ad ascoltare il ragazzo che cantava, li in strada, poi avevo scritto - ed era vero - che avevo vissuto un momento di serenità. Il sorriso da latte della bimba a cui avevo restituito la bici riparata me ne ha regalato un altro. La musica ha sicuramente fatto la sua parte e la ringrazio.
Dimentico troppo spesso di essere un animale sociale e credo sia per questo che solo ogni tanto mi accorgo, quasi mi stupisco, di cogliere dei momenti di serenità.</span><br />
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><br /></span>
<span style="font-family: Helvetica Neue, Arial, Helvetica, sans-serif; font-size: large;"><a href="https://diariosparso.blogspot.it/" style="color: #009eb8; display: inline; outline: none; text-align: center; text-decoration: none; transition: color 0.3s;">Home</a><span style="background-color: #fafafa; color: #333333; text-align: center;"> </span></span>Anonymoushttp://www.blogger.com/profile/14940511520561515326noreply@blogger.com0